Nessuna traccia di museo ma solo vecchi ruderi
Ex Collotta-Cis a Molina di Ledro; la
fabbrica è stata acquisita dal Comune per farne un «ricordo perenne» dei morti
di amianto. Ma tutto è fermo
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di Donato Riccadonna
LEDRO. I ruderi e le incompiute spesso sono più significativi delle opere
compiute: basta saperli leggere e interpretare. E poi chiedersi perché sono
rimasti così e che mondo di cose inespresse c’è dietro. Tanto per dire: quando
il dottor Giuseppe Parolari di Torbole, coordinatore della mappatura
dell’amianto in Trentino, afferma che sarebbe opportuno fare un museo
dell’industria ledrense alla Collotta e Cis di Molina, sappiamo di cosa parla?
Tutto ha inizio con un genio ledrense, Pier Antonio Cassoni, che nel 1816,
primo al mondo, produsse in laboratorio il carbonato di magnesio dalla
dolomite. Ma non lo brevettò e questa scoperta non lo portò nel ristretto
cerchio dei grandi pionieri della chimica e della farmacologia.
Pensate che “solo” nel 1841 il chimico inglese Pattinson brevettò il
processo industriale della calcinazione della magnesia, dandogli ovviamente il
proprio nome. Ma comunque il Cassoni diede l’avvio ad uno dei primi poli
industriali europei di produzione della magnesia. Ma nel 1834 a soli 44 anni
muore lasciando incompiuti i grandi progetti.
Toccherà al nipote medico Bartolomeo realizzare il sogno realizzando nel
1845 lo stabilimento industriale di Pieve in località Praisola. Ma il destino
tragico si abbatté ancora sui Cassoni: Bartolomeo muore nel 1850 a 40 anni.
La fabbrica di Pieve passa di mano e produrrà fino al 1886, mentre
Bernardino Collotta, capo operai di Cassoni, con Giuseppe Cis e Martino Gigli
spostò la produzione nella valle dei Mulini a Bezzecca in località Pesten nel
1857 e poi in paese a Molina di Ledro nel 1900. La svolta determinante arrivò
nel 1928 con l’introduzione dell’amianto importato dal Sudafrica e la
produzione di materiale isolante proseguì fino al 1973.
La fabbrica chiuse i battenti nel 1978 anche per la comparsa sul mercato
della lana di roccia e lasciando una lugubre scia di morte con 75 decessi
documentati dallo studio di Parolari (uno dei primi a livello internazionale e
comunque il primo studio italiano) e attribuibili all’esposizione ad amianto.
A fine anni ’80 venne bonificata l’intera vastissima area e nel 2004 il
Comune di Molina di Ledro acquistò l’area con il rudere della fabbrica, con
l’intenzione di farne un museo per ricordare questa incredibile vicenda. Ma non
si è ancora fatto nulla. Da allora il rudere è lì a Molina a lato della statale
da una parte e della ciclabile dall’altra a interrogare le coscienze di chi
coltiva i ricordi e vuole giustizia.
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