Storie di Riva del Garda
29 settembre 2011 alle ore 20.42
10 marzo 2008 - Dal quotidiano "L'Adige"del 9.3.2007 -
di Vittorio Colombo
«Agnese» è una galleria. Un tunnel lungo oltre tre chilometri e mezzo. Agnese è anche una donna tosta che oggi vive gagliardamente i suoi 87 anni.
A dirla tutta, l'Agnese, donna e sindaco di Molina di Ledro, c'era ben prima della galleria. Anzi, è arcinoto che quella galleria che ha aperto la strada, e non solo metaforicamente, allo sviluppo ed al progresso delle Valle di Ledro, è proprio opera dell'Agnese, donna e sindaco, quasi l'avesse scavata lei con le proprie mani. Tant'è che, con affettuosa e colorita espressione, la galleria che dal 1998 collega la Busa dell'Alto Garda con la Valle di Ledro, è stata consegnata alla storia popolare come «El bus de l'Agnese».
Questa, vent'anni dopo, è la storia di una donna, all'apparenza normale ma in realtà animata da sacro furore, che ha vinto la montagna. L'ha proprio bucata, in pratica da sola perché si contavano sulle dita di una mano quelli che allora scuotevano la testa alle sue «pazzie». Proprio lei ha bucato la Rocchetta, galleria superiore appellata l'Agnese, e bucato il Tombio, galleria inferiore nota chiamato «Dom». Che non vuol dire parroco ma è solo il nome della località rivana.
Tutto ebbe inizio con un terremoto. La terra tremò alle 6.45 del 13 dicembre del 1976. Un regalo di S. Lucia da fine del mondo. «Ero sindaco dal febbraio del '76» ricorda Agnese Rosa che incontriamo nella sua bella casa di Legos, la frazione alta di Molina di Ledro. Sotto il campanile della chiesa, i tetti delle case. Il caminetto è acceso, perché fa ancora freddo e la notte prima la neve ha sbiancato gli abeti poco più in alto. L'Agnese è in gamba. Senza età, maglietta vezzosa celestino-cenere, i pantaloni scuri. I capelli a caschetto, bene a posto, e gli occhialoni che non fermano i guizzi dei suoi occhi chiari, azzurro cielo ledrense.
L'Agnese non racconta. Rivive. E le sue parole sono cariche di gestualità. Si dispera, impreca, prega, si mette le mani nei capelli e la testa gli cade di schianto sul tavolo, nel ripercorrere i momenti più drammatici, per poi risalire fiera e combattiva. Perché alla fine ha vinto lei. Ha vinto la montagna, ma anche lo scetticismo, la diffidenza, la solitudine, la disperazione di certi momenti. Ed ora tutto ricorda.
«La scossa durò sei secondi; qualche secondo in più e sarebbe venuta giù la Valle. Fortuna volle che fossero tutti a letto. In pochi istanti il paese era impazzito. Vetri, cornicioni, lampioni, tutto a terra. Ma le case hanno i muri antichi e i tetti in legno hanno fatto da elastico. Hanno visto il campanile della chiesa, 36 metri, che oscillava come un pendolo. E poi le urla: "la strada, la strada, è crollata la Rocchetta!" Corriamo a Biacesa, la strada del Ponale non c'è più. Una frana enorme se l'era mangiata».
Nessuno si muove. L'Agnese va da sola. Si arrampica sui sassi e va sotto, dove passava la strada per scendere a Riva. Si ferma sgomenta, sotto i piedi per decine di metri solo una voragine. E i toni sono da vangelo apocrifo. «Barriere sradicate, voragini, macigni. Pregando e piangendo - si dispera ancora oggi l'Agnese, - ho invocato la Madonna. Ed è lì, in quel momento, che ho avuto la folgorazione: una galleria. Per vivere la Valle di Ledro una galleria deve bucare la Rocchetta».
L'Agnese alza la mano sinistra. Ha il polso fasciato, vicino all'orologio, da un rosaio bianco. «Ecco - dice - quello che muove le montagne. La fede le muove e perfino le buca».
I tempi erano terribili. Mai una donna prima dell'Agnese aveva osato diventare sindaco e gli uomini, anche molti dei suoi amministratori facevano girare l'indice puntando la tempia e dicevano «L'è propi mata!».
Ma la disgrazia era grande. La strada del Ponale, una panoramica che è un balcone strepitoso sul lago, cadeva a pezzi. Le frane erano all'ordine del giorno, studenti e lavoratori restavano bloccati in Valle. Il ledrense era costantemente a rischio di isolamento. A beh, ma bucare la montagna… e con una donna per giunta.
«La Madonna ha voluto che trovassi in Provincia il Grigolli - dice l'Agnese. - Il presidente ci ha creduto e mi ha detto parti, vai ch'io ci sono».
L'Agnese va alla guerra. Si carica a mille e inizia il più tenace e devastante bombardamento che gli uffici provinciali ricordino. «Stavo al telefono giornate intere - ricorda l'Agnese - ma in Provincia c'era chi dormicchiava. Così andavo al Palazzo e attaccavo. Avevano nascosto in un armadio l'apparecchio «battiquote» necessario per i rilievi. Volevano farmi credere che era a riparare. Io ho aperto l'armadio e l'ho scoperto. «Bugiardi, ipocriti», ho gridato, una Valle muore, in nome di dio svegliatevi! Grigolli mi voleva bene, il dottor Armani, capoufficio, mi appoggiava; dei sindaci il solo che credeva in quello che facevo era Oliari di Tiarno di Sopra. Io stringevo il mio rosario e battevo i pugni, sui tavoli e sulle teste». Ci volevano i soldi e Grigolli mise in moto il ministro dei lavori pubblici Gaetano Stammati.
Gli fecero fare un volo con l'elicottero della Provincia, il 28 ottobre del '78, sopra le macerie della Ponale. C'erano con me ad attenderlo al campo Benacense Grassi, deputato delle Sarche e il rivano Mario Pollini assessore provinciale. Stammati non era sulle sue quando scese dall'elicottero. Grassi sussurrò che se l'era fatta sotto per la tremarella. Ma il ministro romano, scosso anche dalla vertigine e dal furore del sindaco donna disse all'Agnese: «Ho visto la sua valle, io le darò la via, perché la sua valle possa continuare a vivere».
La Provincia, tolto dall'armadio il battiquote, fa i rilievi, e l'Anas prepara il progetto. Il 26 dicembre Grigolli annuncia che ci sono 13 miliardi e 300 milioni. «La Madonna l'ha toccato», dice l'Agnese è solo all'inizio della sua infinita guerra contro la montagna. All'asta partecipano 146 ditte. Vince la Coge ma ha un ribasso troppo forte, e i lavori vanno alla seconda la Codelfa.
Partono i lavori. Le ruspe spianano un mucchio di terreno, tanto per gradire, poi sul posto resta un ometto che guarda un po' verso il ledrense un po' verso il lago. L'Agnese va fuori di testa dall'incazzatura, finché il 21 febbraio bussa al Municipio l'impresario Chini di Brescia che annuncia senza fronzoli: «Il tunnel lo faccio io!». La Codelfa andava a fallire, il Chini aveva fatto tunnel in Spagna e in Turchia. Il vicesindaco Silvano Dassati cominciò a porre questioni. «Taci che il sindaco sono io, comando io!», tagliò corto l'Agnese. Ma c'erano enormi problemi che disciplinavano i rapporti tra Anas e Codelfa. «Io scendevo tutti i giorni - ricorda, - dove le ruspe erano ferme e piangevo e pregavo S Giuseppe: "diglielo tu alla tua sposa che tu sai come dirglielo". Fatto è che poi sia il Dassati che l'Anas cominciarono a credere che tutto fosse possibile.
Chini portò una macchina infernale che si chiama Jumbo. Una sorta di zanzarone meccanico, lungo sedici metri con braccia di quattro metri. Faceva un buco centrale e poi buchi a raggiera, e la dinamite faceva squarci che era un piacere. Tre turni di lavoro, 24 ore su 24, la galleria andava avanti 16 metri al giorno.
Ma era troppo bello per essere vero: il 21 luglio dell'82 la Codelfa che aveva passato la mano alla Chini va in concordato provvisorio, l'Anas annuncia che si devono chiudere i cantieri e chissà se potranno mai essere riaperti. Parte l'azione legale, l'Agnese ingaggia il meglio degli avvocati milanesi. Si supera così anche questo scoglio e il 4 maggio dell'84 la prima galleria, 3.650 metri da Biacesa all'Albola, è finita. Ma, siccome Calvario deve essere, arriva un'altra grana enorme. Un viadotto avrebbe dovuto scendere su pali di cemento fino a Riva. Ma il terreno è ballerino, le prove dicono che non c'è stabilità.
Si fa un nuovo progetto per una seconda galleria. Si arretra di 150 metri. Viene disegnata una curva quindi si decide di scavare nel Tombio per 1.100 metri. Si scava in condizioni infernali sia da nord che da sud; in particolare verso Riva la roccia è impregnata d'acqua. «Sono stati uomini meravigliosi, hanno dato l'anima lavorando nel fango, tra infiniti disagi, in condizioni di pericolo. Si procedeva con tettoie e travi interni di protezione per 6 centimetri al giorno. Ebbene - dice l'Agnese - io continuavo a pregare: «Madonna fa che non si faccia male nessuno. Simili lavori, mi diceva lo stesso Chini, sono segnati purtroppo da lutti. É stato un miracolo, e lo dico in giorni come i nostri nei quali si parla di infortuni sul lavoro. Per fare le gallerie ledrensi si è lavorato per una decina d'anni, in condizioni drammatiche, e non si è fatto male nessuno. Questo - dice l'Agnese è oggi una della mie più grandi ragioni di conforto».
Il 4 maggio del 1988 i due scavi si incontrano alla perfezione. L'opera era alla fine. Ma - ricorda con rammarico l'ex sindaco, - non ci fu inaugurazione. I rivani erano furibondi. Infatti il collegamento con l'ingresso del tunnel doveva avvenire attraverso via Ardaro, dove c'era una strettoia giudicata pericolosa. Così per due anni le gallerie potevano funzionare solo per salire in valle, mentre si scendeva ancora dalla vecchia Ponale risistemata in qualche modo. Ma la situazione per la Ponale precipitò. Successe che un grosso camion, un bestione, sfondò il parapetto e rimase in bilico sullo strapiombo: ci lavorarono Rudy Rosa e altri della Valle per un sacco in condizioni di grande pericolo.
Poi fu miracolato l'allora sindaco di Riva Enzo Bassetti, dopo essere stato a Pregasina per i Santi: fermò la macchina a un centimetro da una frana enorme. 10 mila metri cubi di Rocchetta vennero giù e sparirono 60 metri di strada. E per la Ponale fu la fine. Le gallerie per la Valle di Ledro dal 1990 vennero aperte nei due sensi. Da quel fatidico 13 novembre, santa Lucia del 1976, erano passati 14 anni. La lotta di Agnese Rosa contro la montagna, la conquista delle gallerie, e l'inizio della nuova èra valle, hanno il sapore di una storia epica.
29 settembre 2011 alle ore 20.42
10 marzo 2008 - Dal quotidiano "L'Adige"del 9.3.2007 -
di Vittorio Colombo
«Agnese» è una galleria. Un tunnel lungo oltre tre chilometri e mezzo. Agnese è anche una donna tosta che oggi vive gagliardamente i suoi 87 anni.
A dirla tutta, l'Agnese, donna e sindaco di Molina di Ledro, c'era ben prima della galleria. Anzi, è arcinoto che quella galleria che ha aperto la strada, e non solo metaforicamente, allo sviluppo ed al progresso delle Valle di Ledro, è proprio opera dell'Agnese, donna e sindaco, quasi l'avesse scavata lei con le proprie mani. Tant'è che, con affettuosa e colorita espressione, la galleria che dal 1998 collega la Busa dell'Alto Garda con la Valle di Ledro, è stata consegnata alla storia popolare come «El bus de l'Agnese».
Questa, vent'anni dopo, è la storia di una donna, all'apparenza normale ma in realtà animata da sacro furore, che ha vinto la montagna. L'ha proprio bucata, in pratica da sola perché si contavano sulle dita di una mano quelli che allora scuotevano la testa alle sue «pazzie». Proprio lei ha bucato la Rocchetta, galleria superiore appellata l'Agnese, e bucato il Tombio, galleria inferiore nota chiamato «Dom». Che non vuol dire parroco ma è solo il nome della località rivana.
Tutto ebbe inizio con un terremoto. La terra tremò alle 6.45 del 13 dicembre del 1976. Un regalo di S. Lucia da fine del mondo. «Ero sindaco dal febbraio del '76» ricorda Agnese Rosa che incontriamo nella sua bella casa di Legos, la frazione alta di Molina di Ledro. Sotto il campanile della chiesa, i tetti delle case. Il caminetto è acceso, perché fa ancora freddo e la notte prima la neve ha sbiancato gli abeti poco più in alto. L'Agnese è in gamba. Senza età, maglietta vezzosa celestino-cenere, i pantaloni scuri. I capelli a caschetto, bene a posto, e gli occhialoni che non fermano i guizzi dei suoi occhi chiari, azzurro cielo ledrense.
L'Agnese non racconta. Rivive. E le sue parole sono cariche di gestualità. Si dispera, impreca, prega, si mette le mani nei capelli e la testa gli cade di schianto sul tavolo, nel ripercorrere i momenti più drammatici, per poi risalire fiera e combattiva. Perché alla fine ha vinto lei. Ha vinto la montagna, ma anche lo scetticismo, la diffidenza, la solitudine, la disperazione di certi momenti. Ed ora tutto ricorda.
«La scossa durò sei secondi; qualche secondo in più e sarebbe venuta giù la Valle. Fortuna volle che fossero tutti a letto. In pochi istanti il paese era impazzito. Vetri, cornicioni, lampioni, tutto a terra. Ma le case hanno i muri antichi e i tetti in legno hanno fatto da elastico. Hanno visto il campanile della chiesa, 36 metri, che oscillava come un pendolo. E poi le urla: "la strada, la strada, è crollata la Rocchetta!" Corriamo a Biacesa, la strada del Ponale non c'è più. Una frana enorme se l'era mangiata».
Nessuno si muove. L'Agnese va da sola. Si arrampica sui sassi e va sotto, dove passava la strada per scendere a Riva. Si ferma sgomenta, sotto i piedi per decine di metri solo una voragine. E i toni sono da vangelo apocrifo. «Barriere sradicate, voragini, macigni. Pregando e piangendo - si dispera ancora oggi l'Agnese, - ho invocato la Madonna. Ed è lì, in quel momento, che ho avuto la folgorazione: una galleria. Per vivere la Valle di Ledro una galleria deve bucare la Rocchetta».
L'Agnese alza la mano sinistra. Ha il polso fasciato, vicino all'orologio, da un rosaio bianco. «Ecco - dice - quello che muove le montagne. La fede le muove e perfino le buca».
I tempi erano terribili. Mai una donna prima dell'Agnese aveva osato diventare sindaco e gli uomini, anche molti dei suoi amministratori facevano girare l'indice puntando la tempia e dicevano «L'è propi mata!».
Ma la disgrazia era grande. La strada del Ponale, una panoramica che è un balcone strepitoso sul lago, cadeva a pezzi. Le frane erano all'ordine del giorno, studenti e lavoratori restavano bloccati in Valle. Il ledrense era costantemente a rischio di isolamento. A beh, ma bucare la montagna… e con una donna per giunta.
«La Madonna ha voluto che trovassi in Provincia il Grigolli - dice l'Agnese. - Il presidente ci ha creduto e mi ha detto parti, vai ch'io ci sono».
L'Agnese va alla guerra. Si carica a mille e inizia il più tenace e devastante bombardamento che gli uffici provinciali ricordino. «Stavo al telefono giornate intere - ricorda l'Agnese - ma in Provincia c'era chi dormicchiava. Così andavo al Palazzo e attaccavo. Avevano nascosto in un armadio l'apparecchio «battiquote» necessario per i rilievi. Volevano farmi credere che era a riparare. Io ho aperto l'armadio e l'ho scoperto. «Bugiardi, ipocriti», ho gridato, una Valle muore, in nome di dio svegliatevi! Grigolli mi voleva bene, il dottor Armani, capoufficio, mi appoggiava; dei sindaci il solo che credeva in quello che facevo era Oliari di Tiarno di Sopra. Io stringevo il mio rosario e battevo i pugni, sui tavoli e sulle teste». Ci volevano i soldi e Grigolli mise in moto il ministro dei lavori pubblici Gaetano Stammati.
Gli fecero fare un volo con l'elicottero della Provincia, il 28 ottobre del '78, sopra le macerie della Ponale. C'erano con me ad attenderlo al campo Benacense Grassi, deputato delle Sarche e il rivano Mario Pollini assessore provinciale. Stammati non era sulle sue quando scese dall'elicottero. Grassi sussurrò che se l'era fatta sotto per la tremarella. Ma il ministro romano, scosso anche dalla vertigine e dal furore del sindaco donna disse all'Agnese: «Ho visto la sua valle, io le darò la via, perché la sua valle possa continuare a vivere».
La Provincia, tolto dall'armadio il battiquote, fa i rilievi, e l'Anas prepara il progetto. Il 26 dicembre Grigolli annuncia che ci sono 13 miliardi e 300 milioni. «La Madonna l'ha toccato», dice l'Agnese è solo all'inizio della sua infinita guerra contro la montagna. All'asta partecipano 146 ditte. Vince la Coge ma ha un ribasso troppo forte, e i lavori vanno alla seconda la Codelfa.
Partono i lavori. Le ruspe spianano un mucchio di terreno, tanto per gradire, poi sul posto resta un ometto che guarda un po' verso il ledrense un po' verso il lago. L'Agnese va fuori di testa dall'incazzatura, finché il 21 febbraio bussa al Municipio l'impresario Chini di Brescia che annuncia senza fronzoli: «Il tunnel lo faccio io!». La Codelfa andava a fallire, il Chini aveva fatto tunnel in Spagna e in Turchia. Il vicesindaco Silvano Dassati cominciò a porre questioni. «Taci che il sindaco sono io, comando io!», tagliò corto l'Agnese. Ma c'erano enormi problemi che disciplinavano i rapporti tra Anas e Codelfa. «Io scendevo tutti i giorni - ricorda, - dove le ruspe erano ferme e piangevo e pregavo S Giuseppe: "diglielo tu alla tua sposa che tu sai come dirglielo". Fatto è che poi sia il Dassati che l'Anas cominciarono a credere che tutto fosse possibile.
Chini portò una macchina infernale che si chiama Jumbo. Una sorta di zanzarone meccanico, lungo sedici metri con braccia di quattro metri. Faceva un buco centrale e poi buchi a raggiera, e la dinamite faceva squarci che era un piacere. Tre turni di lavoro, 24 ore su 24, la galleria andava avanti 16 metri al giorno.
Ma era troppo bello per essere vero: il 21 luglio dell'82 la Codelfa che aveva passato la mano alla Chini va in concordato provvisorio, l'Anas annuncia che si devono chiudere i cantieri e chissà se potranno mai essere riaperti. Parte l'azione legale, l'Agnese ingaggia il meglio degli avvocati milanesi. Si supera così anche questo scoglio e il 4 maggio dell'84 la prima galleria, 3.650 metri da Biacesa all'Albola, è finita. Ma, siccome Calvario deve essere, arriva un'altra grana enorme. Un viadotto avrebbe dovuto scendere su pali di cemento fino a Riva. Ma il terreno è ballerino, le prove dicono che non c'è stabilità.
Si fa un nuovo progetto per una seconda galleria. Si arretra di 150 metri. Viene disegnata una curva quindi si decide di scavare nel Tombio per 1.100 metri. Si scava in condizioni infernali sia da nord che da sud; in particolare verso Riva la roccia è impregnata d'acqua. «Sono stati uomini meravigliosi, hanno dato l'anima lavorando nel fango, tra infiniti disagi, in condizioni di pericolo. Si procedeva con tettoie e travi interni di protezione per 6 centimetri al giorno. Ebbene - dice l'Agnese - io continuavo a pregare: «Madonna fa che non si faccia male nessuno. Simili lavori, mi diceva lo stesso Chini, sono segnati purtroppo da lutti. É stato un miracolo, e lo dico in giorni come i nostri nei quali si parla di infortuni sul lavoro. Per fare le gallerie ledrensi si è lavorato per una decina d'anni, in condizioni drammatiche, e non si è fatto male nessuno. Questo - dice l'Agnese è oggi una della mie più grandi ragioni di conforto».
Il 4 maggio del 1988 i due scavi si incontrano alla perfezione. L'opera era alla fine. Ma - ricorda con rammarico l'ex sindaco, - non ci fu inaugurazione. I rivani erano furibondi. Infatti il collegamento con l'ingresso del tunnel doveva avvenire attraverso via Ardaro, dove c'era una strettoia giudicata pericolosa. Così per due anni le gallerie potevano funzionare solo per salire in valle, mentre si scendeva ancora dalla vecchia Ponale risistemata in qualche modo. Ma la situazione per la Ponale precipitò. Successe che un grosso camion, un bestione, sfondò il parapetto e rimase in bilico sullo strapiombo: ci lavorarono Rudy Rosa e altri della Valle per un sacco in condizioni di grande pericolo.
Poi fu miracolato l'allora sindaco di Riva Enzo Bassetti, dopo essere stato a Pregasina per i Santi: fermò la macchina a un centimetro da una frana enorme. 10 mila metri cubi di Rocchetta vennero giù e sparirono 60 metri di strada. E per la Ponale fu la fine. Le gallerie per la Valle di Ledro dal 1990 vennero aperte nei due sensi. Da quel fatidico 13 novembre, santa Lucia del 1976, erano passati 14 anni. La lotta di Agnese Rosa contro la montagna, la conquista delle gallerie, e l'inizio della nuova èra valle, hanno il sapore di una storia epica.
Bon article mais dommage qu'il y ait cette erreur de frappe au début de l'article:
RispondiEliminace n'est pas 1998 mais bien 1988 et 1990 comme indiqué plus loin dans l'article