domenica 1 maggio 2016

IL PRINCIPE VESCOVO E LE COMUNITÀ DI VALLE: L’ESEMPIO DELLA VAL DI LEDRO (1159)

IL PRINCIPE VESCOVO E LE COMUNITÀ DI VALLE: L’ESEMPIO DELLA VAL DI LEDRO (1159)
La strategia adottata dal principe vescovo di Trento per costruire la propria sovranità nel territorio del principato vescovile, attraverso accordi e pattuizioni con le forze sociali e politiche radicate in loco, è diversificata da caso a caso. Rispetto a comunità politicamente importanti, come quelle che riuniscono in una sola realtà diversi comuni di una intera vallata, il vescovo manifesta una particolare prudenza ed è incline a delegare al massimo le sue prerogative sovrane. È quanto accade alla più importante comunità di valle trentina, quella della val di Fiemme, ma analogamente anche ad altre realtà del territorio trentino. Così ad esempio, alla comunità della valle di Ledro, all’estremo confine occidentale del principato e della diocesi: il vescovo Adelpreto sottoscrive con esso un accordo in cui viene concessa innanzitutto l’essenziale prerogativa dell’amministrazione della giustizia. Il luogo di stipula è ancora una volta Riva del Garda, l’anno il 1159.
«Al la presenza di costoro Adelpreto vescovo della Chiesa trentina, con un legno che teneva in mano, liquidò agli uomini di Ledro i diritti sul placito di san Martino e su quello di Pasqua con questo patto: che gli uomini di Ledro debbano ogni anno dare al vescovo o ai suoi successori sul mercato di Riva 50 arieti e 4 vacche e 75 lire di denari veronesi; al mercato di sant’Andrea 75 lire e 20 arieti e 2 vacche e 2 maiali, senza alcun inganno».
I «placiti di san Martino e di Pasqua», dunque in autunno e in primavera a distanza all’incirca di sei mesi, sono le assemblee giudiziarie: le due sole occasioni, lungo tutto l’anno, nelle quali l’autorità pubblica – nel nostro caso, il vescovo – si trasferiva in loco e amministrava la giustizia nelle materie penali più gravi. Erano occasioni che costituivano anche – per ambedue le parti, il signore e i sudditi – una rassicurante conferma della sovranità. Orbene, il vescovo Adelpreto rinuncia anche a questa sua prerogativa, di fatto sancendo implicitamente un pieno autogoverno di questa comunità. In effetti la deliberazione successiva è pienamente conseguente. Con la rinuncia del vescovo, si è creato in sostanza un vuoto di potere, un’assenza di giurisdizione: e allora
«se sarà commesso qualche adulterio o omicidio o si constaterà qualche matrimonio fra consanguinei, debba essere fatta giustizia sotto il p[otere?] dei villici episcopali, o sotto il potere del visdomino o dell’arcidiacono a spese di colui che ha recato offesa, senza altri inganni. Quanto al servizio, dovranno corrispondere 150 lire al vescovo e 50 alla curia dei vassalli; e se avranno dato un uomo, si dovrà scalare la somma corrispondente alla quota di costui».
La bilateralità del patto, che formalmente si presenta come una concessione ‘graziosa’ del vescovo, è particolarmente evidente dalle clausole finali . Gli attori stabiliscono vicendevolmente come penalità che se uno dei due contraenti avrà derogato da questo accordo e patto, oppure non lo avrà osservato in tutto e per tutto come è scritto di sopra, allora la parte colpevole paghi alla parte rispettosa dei patti 200 lire veronesi di buona moneta.
G.M.V.



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