domenica 1 maggio 2016

Salute e ambiente di lavoro

L'intervento del Sindaco di Molina di Ledro sul caso Collotta-Cis al convegno “Salute e ambiente di lavoro”:
COSI' AGNESE ROSA RIPERCORRE IL PERIODO DELLA SOFFERENZA
(pubblicato dall' "Alto Adige" il 6 giugno 1984)
RIVA DEL GARDA - Nel corso della recente giornata di studio su “Salute e Ambiente di lavoro”, iniziativa svoltasi al casinò municipale di Arco su organizzazione del sindacato CGIL-CISL-UIL, in collaborazione con il servizio provinciale di medicina del lavoro, il sindaco di Molina di Ledro, Agnese Rosa, ha tenuto una relazione molto interessante sul caso della Collotta-Cis. Accorato e particolarmente sofferto, l’intervento del sindaco di Molina si presenta molto importante anche per la serie di suggerimenti offerti in merito alla bonifica del vecchio stabilimento di Molina di Ledro, chiuso dopo le note vicende.
“Ogni qualvolta il discorso cade sulla ex fabbrica Collotta-Cis, si evoca nel mio spirito il mondo lontano della mia fanciullezza, rivive, sempre nitido, un quadro di ombre e di sfumature, che si mantiene sempre chiaro per le impressioni penose e profonde, sofferte allora, e rimaste incise per sempre nella mia sensibilità. Sono sguardi di sgomento, sono frasi appena sussurrate, permeate di sofferenza rassegnata, sono gesti che preannunciavano situazioni tragiche, che nel tempo trovavano regolarmente una conferma.
“La fabbrica è malsana”. – “Hai visto Vittore, che faccia gialla, che magrezza; ne ha ancora per poco!” – “E Tino, rattrappito dai dolori e immobilizzato sulla sua sedia! E Aldo con tutte quelle pleuriti”. Erano le frasi che i grandi si scambiavano, tra un sospiro doloroso e l’altro; ma che io carpivo avidamente, con un profondo senso di emozione. E guardavo il viso giallo di Vittore, scavato dalla fatica e dal male occulto, che gli scavava dentro.
Così ascoltavo le amichette che, con occhi stralunati, parlavano dei loro papà, ai quali portavano la cena in fabbrica, li vedevano emergere grondanti di sudore, dalla fitta nebbia dei forni, dove il calore era infernale, per uscire a torso nudo, carichi di materiale da depositare fuori; li osservavano uscire e rientrare in continuità, passando, senza alcun riparo, da un ambiente infuocato alle correnti esterne, sempre fortissime e fredde. E tutta quella polvere, così fitta da non potersi riconoscere a un metro di distanza, sotto quel tristemente famoso “bait”, dove si segavano le coppelle di amianto, tra rumori assordanti e correnti d’aria terribili.
Erano quelli anni di fame
Erano quelli anni di fame; di grande fame; durante i quali la valle, stremata dalla miseria, viveva di emigrazione. Le famiglie, appena costituite, si disfacevano, perché gli uomini dovevano cercare all’estero, nelle miniere delle lontane Americhe, quel sostentamento che in valle mancava. Tornavano vecchi, ridotti ad ombre, col piccolo gruzzolo che assicurava la vecchiaia. E in quei tempi di miseria paurosa, la fabbrica Collotta-Cis rappresentava una fortuna davvero incredibile, e coloro che potevano arrivarvi, magari attraverso speciali raccomandazioni, potevano dirsi ultrafortunati! Anche se poi, disagi, sofferenze, fatiche in un ambiente disumano, vessazioni, ricatti, intimidazioni, pagamenti estremamente ritardati, trasformavano in breve i lavoratori in poveri esseri abulici, passivi e sottomessi come un branco di schiavi, pena il licenziamento: com’era accaduto a quei 24 operai, che al primo tentativo di sciopero si erano ritrovati licenziati dalla sera alla mattina, come a quell’operaio che, ridotto alla disperazione, aveva osato chiedere un acconto e aveva perduto il lavoro a causa di un alterco.
Poi avevo visto le mie giovani amiche, che lavoravano in fabbrica, morire una dopo l’altra, di tumore: Anna, che lasciava 4 bambini e che vidi morire tra dolori strazianti. Carmen, Bruna, che lasciava un bambino e si spegneva dopo anni di lotte e di sofferenze atroci. Ma queste morti precoci, che ci lasciavano costernati e ci riempivano di dubbi che ci facevano risalire alle cause ambientali, non ci lasciavano supporre una causa diretta da ricercarsi nel materiale che veniva manipolato con assoluta tranquillità; non si sapeva di manipolare la propria morte con estrema spensieratezza, rifiutando anche la mascherina perché dava fastidio.
Intanto, lo stato di degrado ambientale scendeva a livelli sempre più bassi, senza che nulla mai venisse sperimentato o creato per un miglioramento benché minimo. A poco a poco la fabbrica decadde dal concetto primitivo e cominciò a farsi strada l’idea che troppi gaudenti, inetti e poltroni, volessero vivere sulle braccia dei lavoratori; finché, in un rigido mattino di gennaio del 1978 i lavoratori trovarono sbarrati i cancelli di accesso alla fabbrica.
Il trattamento brutale fece scattare finalmente gli operai, che montarono la guardia e strinsero d’assedio la fabbrica. In quell’occasione, l’Amministrazione comunale di Molina si schierò dalla parte dei lavoratori, li difese da tutte le angherie messe in opera contro di loro, li sostenne giorno e notte, li stimolò continuamente a resistere, finché, dopo mesi e mesi di lotta, vennero loro pagate tutte le mensilità arretrate e anche la liquidazione. Per quel momento era già pronto per i 23 disoccupati della Collotta-Cis, il piano d’intervento della Provincia, sollecitata allo scopo dal Comune di Molina, e tutti vennero assunti in un programma di forestazione, nel quale alcuni permangono ancora.
A prezzo di sofferenze inaudite
Finì così, nel più triste dei modi, quello squallido mondo di lavoro, che aveva dato un pane alla nostra gente, chiedendo come contropartita un prezzo paradossale di sofferenze inaudite e di morti precoci. Su quel mondo si stese il velo del silenzio e dell’oblio, finché un giovane medico ebbe il coraggio di lacerare quel velo, di sondare l’ambiente, di ricercare, di studiare e di mettere finalmente le mani sopra la materia terribile, responsabile di tante morti premature, di tante e tante malattie mai prima riconosciute: l’amianto, la fibra che per anni e anni era sempre stata lavorata e manipolata con tanta incoscienza con estrema superficialità, non conoscendone gli effetti funesti.
E’ merito del dottor Giuseppe Parolari essere penetrato di prepotenza nel mondo oscuro di una lavorazione ritenuta per anni innocua e di avere dato l’allarme; il suo grido d’allarme non si fermò davanti alla minaccia di denunce e di reali denunce che subì per le sue diagnosi, ritenute in un primo momento semplicemente diffamatorie. Per le sue ricerche, sostenute dall’appassionata sensibilità di studioso preparato e coscienzioso, s’è potuto finalmente svelare il mistero delle morti precoci, delle forme tumorali, polmonari e circolatorie, e si è corsi immediatamente ai ripari; e l’asbestosi è diventata purtroppo una parola terribilmente nota.
E’ la risposta a tutti quei “perché”, pieni d’angoscia indicibile, che captavo in un tempo ormai tanto lontano, negli occhi, nelle parole, nei gesti dei grandi, e che si erano incisi per sempre nel mio spirito. E forse sono state proprio queste emozioni penose a far scattare di prepotenza in me, il senso della responsabilità fortissima, che ritengo debba essere alla base della coscienza d’un amministratore, il quale non può non sentirsi pienamente coinvolto nei problemi vitali dei suoi censiti; quali il lavoro, la salute, l’ambiente.
Ho dato al dottor Parolari tutta la mia disponibilità nel tentativo di facilitare quell’opera che ha svolto sulle macerie di un mondo del lavoro per salvare ciò che ancora era salvabile. Abbiamo ricercato insieme tutti gli ex lavoratori della Collotta-Cis, per accertare in essi la presenza dell’asbestosi, mediante visite accuratissime, e per assicurare loro la rendita della pensione prevista per le malattie professionali. Siamo subito intervenuti anche sull’ambiente, per liberarlo dai residui dell’amianto.
Trovarsi nel regno delle ombre
Quando, insieme a lui, sono entrata per la prima volta nel mondo della ex fabbrica Collotta-Cis, ho avuto l’impressione sinistra di trovarmi nel regno delle ombre. Un labirinto di corridoi oscuri, di cunicoli sotterranei, dove l’aria e il sole non erano entrati mai e i piani superiori, aperti a tutte le correnti. Ovunque sfacelo e desolazione; questo era stato il mondo di lavoro della nostra gente. Come primo intervento abbiamo rimosso i cumuli di amianto che ancora vi si trovavano, servendoci di maschere e di tute speciali. L’amianto fu raccolto in sacchi robusti di nailon. Ora resta però tutto un ambiente da bonificare; bonifica, che solo l’Ente pubblico potrà realizzare con mezzi che il Comune non può trovare. Occorrerà asportare accuratamente i residui di amianto, tenacemente abbarbicati sull’orditura lignea dei tetti, sugli assiti, sui tavolati, sui pavimenti, mentre le parti murarie verranno intonacate.
Sarà necessario un intervento particolare di bonifica sulla discarica. Da tempo l’Unità sanitaria locale s’è prefissa il problema d’una bonifica integrale dell’ambiente dell’ex fabbrica Collotta-Cis. Ha richiesto l’intervento di un geologo della Provincia, che ha già individuato tutti gli interventi da effettuare. Nei mesi prossimi ci aspetta tutto un programma di opere da eseguire. Dovrà essere un lavoro meticoloso, come si può arguire dagli intendimenti dell’ente, lavoro che l’Amministrazione comunale di Molina seguirà con tutto l’interesse, passo su passo, al fine di bonificare radicalmente, integralmente, redimendolo, un ambiente, dallo stato del più avvilente degrado in cui s’è venuto a trovare.
Scomparirà così un mondo squallido e desolante, nel quale per troppi anni la nostra gente ha pagato un tributo durissimo, incommensurabile di sofferenza e di morte, per un pezzo di pane e per il quale, ora, l’Ente pubblico pagherà un tributo assai pesante per la sua bonifica. Ci resta solo la speranza consolante che là, in un domani non lontano, possa rifiorire la realtà nuova di un lavoro adeguato alla dignità dell’uomo.”
Agnese Rosa,
Sindaco di Molina di Ledro
Molina di Ledro, maggio 1984


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