domenica 1 maggio 2016

La tragedia della Val di Genova

da "Senti le rane che cantano"
La tragedia della Val di Genova
Il 12 ottobre del 1950 in Val di Genova, dove si sta lavorando ad una galleria che serve a convogliare le acque di uno dei rami del Sarca agli impianti idroelettrici che sono in costruzione nel Trentino occidentale, scoppia una mina in anticipo: a morire sono in sei. La ditta colpita dalla tragedia è la SISM, la Società Idroelettrica Sarca-Molveno, concessionaria delle derivazioni d’acqua del fiume Sarca e del lago di Molveno. Questa impresa, nei cui cantieri si svolgerà buona parte dell’attività sindacale di Rino Battisti, a partire dagli anni ’40 aveva iniziato la costruzione di una vasta rete di cunicoli e gallerie che raggiunsero la lunghezza complessiva di 50 chilometri. Lo scopo era quello di imbrigliare la forza del fiume Sarca nella complessa opera di svuotamento e di regolazione delle acque del lago di Molveno e lo scavo in roccia dell’enorme caverna della centrale elettrica di Santa Massenza. La storia della SISM è costellata da numerosi incidenti mortali, 33 in tutto, una lunga scia di sangue che inizia nel 1948 e termina nel 1960, tra i quali uno dei più drammatici è proprio quello del 12 ottobre 1950 in Val di Genova. All’origine del disastro pare vi fosse stato l’uso di nuovi tipi di detonatori elettrici, forse difettosi, utilizzati per innescare l’esplosione d’una volata di mine nella finestra della «Prisa di Carisolo» della galleria di derivazione dal Sarca di Val Genova al lago di Molveno. Un incidente dunque non da attribuire alla fretta con la quale avvenivano solitamente le esplosioni delle mine, che molto spesso portavano alla morte dei fuochini, ma al materiale difettoso. A morire non sono solo degli operai, ma anche un ingegnere, il dottor Giuseppe Biasioli, 38 anni, veronese d’origine. Con lui periscono, come su un campo di battaglia, Antonio Giacoma-Bottalat, 50 anni, assistente tecnico, residente a Castelnuovo Nigra, in provincia di Torino; Albino Franzinelli, 41 anni, capo minatore residente a Molina di Ledro; Carlo Roggeri, 58 anni, fuochino, residente a Gazzaniga in provincia di Bergamo; Bortolo Rossi, 37 anni, di Castione Presolana, anch’egli bergamasco e infine Umberto Soranzo, ventisettenne autista, residente a Castello di Fiemme. Sei nomi e sei provenienze, sei età e sei professioni che ci dicono molto, ancora una volta, della composizione variegata dei lavoratori presenti sui cantieri idroelettrici trentini: tra i sei morti, solo due sono trentini, gli altri provengono da province vicine. Nei sette incidenti mortali avvenuti tra il marzo del ’48 e l’11 ottobre del ’50 che precedono quello avvenuto in Val di Genova, tra le vittime anche un giovane di 24 anni di Rocca di Cambio, in provincia dell’Aquila, Gesualdo Ottaviani, morto il 17 gennaio del 1950 sotto una frana in una galleria in Val d’Ambiéz, a ricordare la presenza in Trentino di tanti lavoratori del Sud64. I nomi di tutti coloro che perirono, ormai sepolti dal tempo, sono i nomi di chi diede la vita in cambio di un lavoro; forse risuonano ancora negli echi di quelle strette vallate o nelle gallerie ormai invase dall’acqua. In occasione dell’incidente in Val di Genova Sisinio Tribus si fa giornalista e racconta con partecipazione il dramma di un’intera valle:
«Le sei salme vennero portate sulle barelle nella cappella di S. Vigilio, al cimitero, dai compagni di lavoro. Poi, la notizia che correva veloce sui fili del telefono, dal ticchettio dei telegrafi, ai giornali, nelle vallate, nelle città, portando orrore e sgomento e dolore. Poi la veglia notturna alle salme, l’ultimo addio dei minatori, di tutti i minatori della valle, il saluto dei bimbi, saluto innocente fatto con pochi fiori di campo, il saluto delle donne della Rendena, nei loro abiti neri delle grandi occasioni, lo strazio dei parenti. Una marea di gente sostava ai margini della strada polverosa, in attesa che le sei bare uscissero dalla cappella, portate a spalla dai minatori.»


Nessun commento:

Posta un commento