un po di storia :
da "Le palafitte nel cassetto"
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Tale palificata era interpretata come un antico lavoro di bonifica e di difesa,
la cui costruzione si era persa nei meandri del tempo; appariva come un lavoro
che avrebbe impedito l’asportazione del materiale che formava la riva del lago,
qualora le acque del fiume Ponale (in un momento di piena) fossero scorse in
maniera più violenta.E nella mente della gente di Molina, più o meno anziana,
passò fino al momento della scoperta archeologica, questa teoria.
Noi non avevamo mai sentito dire che prima del ritrovamento si pensava
esistessero delle palafitte.
… Nel 1929 il lago è calato e allora si è iniziato a dire che c’erano queste
palafitte e che c’erano pali che emergevano dall’acqua; pero c’è anche chi
diceva che erano stati piantati per frenare l’acqua, ma, sicuramente, non si
sapeva chi poteva essere stato a piantarli e quando (dalla testimonianza di Attilio
e Silvio Rosa)
”. La zona era ricoperta dalle acque del lago; ciò che solamente emergeva era un
piccolo isolotto, situato all’imboccatura del fiume. Si pescava, si
raccoglieva il legname e vi si attraccavano le barche.
La presenza di pali poteva essere motivata dalla perizia lavorativa degli
antenati.A conferma la notizia che nella Valle di Ledro fosse viva la
tradizione che dove cominciava l’emissario (il fiume Ponale), quindi proprio
nel punto in cui è la stazione palafitticola, gli abitanti del luogo avessero
costruito e mantenuto uno sbarramento formato da pali, senza dubbio uniti da
intreccio di ramoscelli;il tutto per impedire che il livello dell’acqua del
lago si abbassasse. E infine si aggiunge anche la conferma di alcuni abitanti di
Molina che hanno sentito parlare i loro padri di questa “struttura
particolare”: “
Mio papà […] raccontava che andavano dentro a pescare quando era giovane;
passando con la barca nella zona delle palafitte vedevano giù i pali e si
chiedevano cosa potesse essere ; risposta era che, dato che tiravano fuori il
legname con il lago ghiacciato, forse quella poteva essere una “draga” per
fermare i tronchi. Questo pensavano i vecchi, e, prima che venisse il Battaglia,
la teoria era quella (dalla testimonianza di Faustino Baldessari)”
.E ancora: “
A dire il vero non si dava tanta importanza alla scoperta...all’inizio
pensavano fosse una specie di diga che fermasse le acque del lago... tanti anche
dopo l’evidenza del sito eranomolto scettici della spiegazione archeologica…
(dalla testimonianza di Umberto Canali)
L'attuale sbarramento, rifatto nei secoli, andava quindi attribuita la
presenza di così tanti pali piantati in età non molto lontana, ma certamente di
molto posteriore alla vita del sito palafitticolo. Con ciò, concludeva il Paret,
“
si sarebbe potuto spiegare anche il perché alcuni pali hanno forato e
attraversato tavole di legno ed anche una piroga
”.Se la presenza dei pali poteva in questo modo essere giustificata, non cisi
spiegava però la grande quantità di pezzi e cocci ceramici che si trovarono
sul fondo, alla base degli stessi pali, al momento dei primi abbassamenti del
lago….Ma una antica storia era passata come verità: “
Mi veniva raccontato che quando si ri-trovavano dei cocci nel lago, nei pressi
delle attuali palafitte si pensava fossero “le cépe” dei Zecchini. Erano i
Zecchini “Paroni del Lac”, che possedevano le acque e i territori circostanti
il lago. Si diceva che ai tempi della peste i poveri si tenessero le loro
scodelle e le lavavano,mentre questi Zecchini, “siori”, potevano permettersi di
buttarle via, nel lago. Era passata questa tradizione… erano “le cepe” di cui
si erano sbarazzati i Zecchini. (dalla testimonianza di Antonio Zecchini
E ancora, Agnese Rosa, “la maestra Agnese” ricorda:“
E dicevano in paese: “Guarda che vanno là dentro, in una zona che certamente è
infetta perchè li, sicuramente, c’è stata qualche grave malattia …”. Allora
tutti quegli oggetti che avevano li hanno scaricati e poi hanno abbandonato il
luogo e si sono trasferiti a Legos. Non volevano lasciarci andare per non
esporci al rischio di infezioni, al rischio di poter contrarre qualche malattia;
pensavano che tutti quegli oggetti che c’erano fossero stato il frutto diun
abbandono che era stata la conseguenza certamente di una partenza furiosa
determinata da qualche spauracchio (dalla testimonianza di Agnese Rosa
A testimonianza di un’ulteriore identità che venne data ai cocci riportiamo la
breve ma interessante testimonianza che Gino Tomasi racconta, ricordando Guido
Cauzzi, primo custode delle palafitte: “
Ricordo che Guido diceva che i locali, vedendo le masserizie
nell’acqua,dicevano fossero i “bucai dei tisec”, ovvero i boccali dei malati di
TBC! (dalla testimonianza di Gino Tomasi)
Anche le interpretazioni nate intorno ai cocci riuscivano aspiegare la
particolare presenza, ma davano una identità ben diversa da ciò che,da lì a
poco tempo, si stava per scoprire: l’
abitato palafitticolo di Ledro
Proprio in quella zona sorgeva quella che è oggi chiamata “la Colonia”.
Orginariamente questa struttura (poi adibita a Colonia appunto)come
casa e luogo di cura per i malati di TBC.
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