giovedì 31 ottobre 2013
La “Colonia” (già Villa Savoia)
La “Colonia” (già Villa Savoia)
Il complesso di edifici ed il parco erano sorti sul finire dell’Ottocento e i
primi del Novecento come “Casa e luogo di cura” per gli ammalati di Tbc.Erano i
tempi in cui Arco era un “Kurort” (luogo di cura), rinomato nell’intera
Mitteleuropa, dove convergeva la nobilità dell’Impero Austro – Ungarico fra
cuipure l’Arciduca Alberto. Successivamente, dopo la Prima Guerra Mondiale,
quegli edifici furono ristrutturati e trasformati nell’albergo “
Hotel Villa Savoia ”,gestito da un certo Signor Wissmann e frequentato, durante
la buona stagione, da persone benestanti.
Aveva verande lussuose, arricchite di roseti e altre specie difiori. La veranda
centrale, in cui troneggiava un pesante biliardo era adibita al bar.Era
ritenuto luogo di perdizione, proibito anche dai nostri curati, che dal pulpito
invitavano adulti, giovani e ragazzi a non andare e fermarsi a quel luogo.
L’Hotel (conosciuto anche con il nome di Villa Savoia) finì la sua attività
nella primametà degli anni ’30. Nel 1937 fu acquistato dall’INAM (Istituto
Nazionale Assi-stenza Mutua) e fu trasformato nella “
Colonia Montana Pietro Montanari
”.Fu allora che Guido Cauzzi ne divenne il custode e si trasferì con la sua
famiglia.
foto e discalia tratto da "Le Palafitte nel cassetto"
Il Brogliaccio
Il Brogliaccio dei carabinieri, datato al maggio 1937, testimonia la presenza sempre attenta delle forze di sorveglianza dei Carabinieri di Molina, non solo durante i momenti di lavoro ma anche nel corso delle ore notturne. Nella stazione di Molina avevano prestato servizio, durante i cinque mesi di quel 1937 i seguenti carabinieri: Brigadiere a piedi Vivirito Biagio (comandante di stazione); Appuntato Francesco (Franco) Mura; Carabiniere Carraro Guglielmo; Carabiniere Ricozzi Paolo; Carabiniere Faltron Vittorio; Carabiniere Cagneni Flavio; Carabiniere Gastaldello Prudenzio; Carabiniere Benvenuti Giuseppe; Carabiniere Mattè Mario; Carabinere Lovo Gino -
Prop. CC
Il balletto delle centrali elettriche
Giulio Falcone
Il "balletto" delle Centrali Elettriche
1895. Entra in funzione La Centrale
Elettrica
di Riva alla Gora del Ponale,
Ia linea elet trica corre lungo la strada del Ponale. Il 28 novembre
1895
viene illuminata la
piazza Benacense ( ora Piazza III Novembre).
di Riva per una concessione d'energia elettrica alla Valle di Ledro.
Non venne raggiunto alcun accordo.
1900.
Si costituisce iI Consorzio Elettrico Ledrense
con sede a Molina. II presidente Don Lucillo Sartori commissiona un progetto per una centrale idroelettrica. La forza
d'acqua
parte da quota 655
(livello del lago di Ledro), per
scendere a quota
579 con un salto di 76
metri, sotto la Fabbrica della Magnesia. Questo impianto, mai
realizzato, viene
denominato Centrale Elettrica di Molina.
22 aprile
1900.
La Comunita della Valle dei Concei delibera
la costruzione di un impianto idroelettrico
da
situarsi
nella
Valle dei Molini.
Da
incarico
all'ing.
Pietro
Tosana
di ela- borare il progetto
che viene
presentato il 12 settembre 1901, modificato rispetto a quello originale per la richiesta di allacciamento idroelettrico del Comune di Bezzecca,
1901. Il Municipio
di Rovereto delibera di potenziare la forza elettrica della città con
la
costruzione di una
nuova Centrale Elettrica nel territorio
del Comune di Biacesa. La forza d’acqua partirebbe da quota 579 a quota 267 con un salto di 265 metri; una
condotta idrau-
Iica partendo dalla presa d’acqua prevista per la Centrale
di Molina, seguendo
in lieve pen- denza il versante sud della Bassa Valle per una lunghezza
di circa 4 Km, si
allaccerebbe alla condotta forzata sita a 255 metri sulla perpendicolare della
Centrale di Biacesa,
Don Lucillo Sartori, accantona il progetto per una
Centrale
Elettrica
a Molina e chiede
l'allacciamento
elettrico per tutta la Valle.
24 gennaio 1902. Il Municipio di Rovereto
offre al Consorzio Elettrico
Ledrense
500 kw della costruenda Centrale di Biacesa. Non c'è concordanza tra tutti
i Comuni di Ledro; Lenzumo, Enguiso, Locca e Bezzecca iniziano le trattative
per un impianto idroelettrico congiunto nella Valle
dei Molini,
Solo i paesi della Bassa Valle decidono per l’alacciamento con Biacesa.
Viene definitivamente abbandonato
il progetto della Centrale di Molina.
23 maggio 1903. Don Giacomo Regensburger, curato di Storo, forma un Comitato cittadino per la realizzazione di un
impianto idroelettrico sul torrente Palvico.
14 agosto 1903. Il Capitanato Distrettuale di Riva approva
il progetto
idroelettrico
della Comunità dei
Concei e Bezzecca.
1904. I due Tiarno
abbandonano iI progetto Gerosa del Municipio di Rovereto.
A
fronte
della
indifferenza delle Amministrazioni Comunali, viene formate un Comitato fra cittadini
dei due Tiarno
per condurre
trattative dirette nella scelta
tra la costruenda Centrale Elettrica dei Concei e la Centrale Elettrica di Storo.
9 febbraio
1905
II Comitato cittadino dei due Tiarno visita la Centrale di Storo
e deci- de
per l'allacciamento elettrico
dei due paesi. Il Comune di Tiarno di Sotto accetta la decisione del Comitato, il Comune
di Tiarno di
Sopra
si oppone ed inizia trattative con Concei. A fronte
delle
proteste
dei cittadini, anche il Comune di
Tiarno di Sopra accetterà l'allacciamento con Storo.
10 marzo 1905. Nasce il Consorzio Elettrico dei Concei, Lo presiede Camillo Collotta.
9 dicembre 1905. L'impianto idroelettrico dei Concei è completato a tempo di record: nella notte sul Colle di Santo Stefano viene
accesa elettricamente una 'superba croce".
14 dicembre 1905.
Inaugurazione ufficiale del nuovo impianto idroelettrico dei Concei; L'acqua di Vies accende la luce nelle
case di Lenzumo, Enguiso, Locca e Bezzecca.
Percentuali cognomi in valle di Ledro
lo sapevate ???
Vi sono a Tiarno di Sopra Cognome
85.14 Cellana
64.50 Ribaga
64.50 Tiboni
43.86 Vescovi
41.28 Merli
Vi sono a Tiarno di Sotto Cognome
64.96 Ferrari
42.56 Crosina
35.84 Fedrigotti
33.60 Degara
26.88 Leonardi
Vi sono a Bezzecca Cognome
52.60 Mora
47.34 Cis
36.82 Collotta
Vi sono a Concei Cognome
55.44 Bartoli
55.44 Segalla
42.84 Santi
42.84 Sartori
32.76 Cigalotti
Vi sono a Pieve di Ledro Cognome
49.14 Trentini
21.06 Pellegrini
21.06 Risatti
14.04 Penner
14.04 Sartori
Vi sono a Molina di Ledro Cognome
100.86 Rosa
68.88 Boccagni
56.58 Colo`
41.82 Maroni
31.98 Franzinelli
Vi sono a Tiarno di Sopra Cognome
85.14 Cellana
64.50 Ribaga
64.50 Tiboni
43.86 Vescovi
41.28 Merli
Vi sono a Tiarno di Sotto Cognome
64.96 Ferrari
42.56 Crosina
35.84 Fedrigotti
33.60 Degara
26.88 Leonardi
Vi sono a Bezzecca Cognome
52.60 Mora
47.34 Cis
36.82 Collotta
Vi sono a Concei Cognome
55.44 Bartoli
55.44 Segalla
42.84 Santi
42.84 Sartori
32.76 Cigalotti
Vi sono a Pieve di Ledro Cognome
49.14 Trentini
21.06 Pellegrini
21.06 Risatti
14.04 Penner
14.04 Sartori
Vi sono a Molina di Ledro Cognome
100.86 Rosa
68.88 Boccagni
56.58 Colo`
41.82 Maroni
31.98 Franzinelli
Palafitte, un po di storia, da " Le palafitte nel cassetto "
Dato che oggi lo vediamo esposto nel museo palafitticolo, è necessario ricordare
la storia di un ritrovamento particolare, effettuato grazie all’indicazione di
Beppino Toniatti, presso il laghetto d’Ampola. Siamo nel 1953… “
Facevamo a scuola la storia delle Palafitte di Molina con il Professor
Chiocchetti. Chiocchetti, Dal Rì (Luigi) e Dorigotti insegnavano tutti e tre
alle magistrali di Rovereto. Un giorno, durante una lezione di storia sostenni
che c’erano, secondo me, le palafitte anche in Ampola. Dicevo questo perché
andando a pescare sul lago con “la Tirlindana” (anche se era proibito) l’amo si
agganciava a questi pali che erano molto ben allineati….queste sono palafitte mi
son detto!! Avevo 20 anni…e allora siamo andati con i tre professori (dopo aver
pranzato in Tremalzo) verso il lago d’Ampola. Purtroppo l’acqua era increspata
e si vedeva davvero poco quel giorno. Dal Rì, di Mori, mio professore di storia
e latino, e appassionato di ricerca… si trovò con Tomasie gli annunciò che un
suo alunno aveva ritrovato questi pali, che per lui erano palafitte Dopo tre
quattro giorni Tomasi era al lago d’Ampola per cercare le palafitte. E trovò la
canoa e reperti…e chissà quanti reperti ci sono ancora giù…era nella zona del
“pal dela luce”, dovec’è ora la baracca…quasi in mezzo al lago, sulla sponda
verso verso “I Gaç” come diciamo noi. Non verso lo stradone, ma verso il
bosco…Andavamo a pescare le tinche in quel punto…di pali, stando con la barca
sopra l’acqua se ne vedevano parecchi… (dalla testimonianza di Beppino
Toniatti)
da " Le palafitte nel cassetto "
Palafitte, un po di storia, da " Le palafitte nel cassetto"
un po di storia :
da "Le palafitte nel cassetto"
https://www.facebook.com/groups/384009025014570/permalink/529981090417362/
Tale palificata era interpretata come un antico lavoro di bonifica e di difesa,
la cui costruzione si era persa nei meandri del tempo; appariva come un lavoro
che avrebbe impedito l’asportazione del materiale che formava la riva del lago,
qualora le acque del fiume Ponale (in un momento di piena) fossero scorse in
maniera più violenta.E nella mente della gente di Molina, più o meno anziana,
passò fino al momento della scoperta archeologica, questa teoria.
Noi non avevamo mai sentito dire che prima del ritrovamento si pensava
esistessero delle palafitte.
… Nel 1929 il lago è calato e allora si è iniziato a dire che c’erano queste
palafitte e che c’erano pali che emergevano dall’acqua; pero c’è anche chi
diceva che erano stati piantati per frenare l’acqua, ma, sicuramente, non si
sapeva chi poteva essere stato a piantarli e quando (dalla testimonianza di Attilio
e Silvio Rosa)
”. La zona era ricoperta dalle acque del lago; ciò che solamente emergeva era un
piccolo isolotto, situato all’imboccatura del fiume. Si pescava, si
raccoglieva il legname e vi si attraccavano le barche.
La presenza di pali poteva essere motivata dalla perizia lavorativa degli
antenati.A conferma la notizia che nella Valle di Ledro fosse viva la
tradizione che dove cominciava l’emissario (il fiume Ponale), quindi proprio
nel punto in cui è la stazione palafitticola, gli abitanti del luogo avessero
costruito e mantenuto uno sbarramento formato da pali, senza dubbio uniti da
intreccio di ramoscelli;il tutto per impedire che il livello dell’acqua del
lago si abbassasse. E infine si aggiunge anche la conferma di alcuni abitanti di
Molina che hanno sentito parlare i loro padri di questa “struttura
particolare”: “
Mio papà […] raccontava che andavano dentro a pescare quando era giovane;
passando con la barca nella zona delle palafitte vedevano giù i pali e si
chiedevano cosa potesse essere ; risposta era che, dato che tiravano fuori il
legname con il lago ghiacciato, forse quella poteva essere una “draga” per
fermare i tronchi. Questo pensavano i vecchi, e, prima che venisse il Battaglia,
la teoria era quella (dalla testimonianza di Faustino Baldessari)”
.E ancora: “
A dire il vero non si dava tanta importanza alla scoperta...all’inizio
pensavano fosse una specie di diga che fermasse le acque del lago... tanti anche
dopo l’evidenza del sito eranomolto scettici della spiegazione archeologica…
(dalla testimonianza di Umberto Canali)
L'attuale sbarramento, rifatto nei secoli, andava quindi attribuita la
presenza di così tanti pali piantati in età non molto lontana, ma certamente di
molto posteriore alla vita del sito palafitticolo. Con ciò, concludeva il Paret,
“
si sarebbe potuto spiegare anche il perché alcuni pali hanno forato e
attraversato tavole di legno ed anche una piroga
”.Se la presenza dei pali poteva in questo modo essere giustificata, non cisi
spiegava però la grande quantità di pezzi e cocci ceramici che si trovarono
sul fondo, alla base degli stessi pali, al momento dei primi abbassamenti del
lago….Ma una antica storia era passata come verità: “
Mi veniva raccontato che quando si ri-trovavano dei cocci nel lago, nei pressi
delle attuali palafitte si pensava fossero “le cépe” dei Zecchini. Erano i
Zecchini “Paroni del Lac”, che possedevano le acque e i territori circostanti
il lago. Si diceva che ai tempi della peste i poveri si tenessero le loro
scodelle e le lavavano,mentre questi Zecchini, “siori”, potevano permettersi di
buttarle via, nel lago. Era passata questa tradizione… erano “le cepe” di cui
si erano sbarazzati i Zecchini. (dalla testimonianza di Antonio Zecchini
E ancora, Agnese Rosa, “la maestra Agnese” ricorda:“
E dicevano in paese: “Guarda che vanno là dentro, in una zona che certamente è
infetta perchè li, sicuramente, c’è stata qualche grave malattia …”. Allora
tutti quegli oggetti che avevano li hanno scaricati e poi hanno abbandonato il
luogo e si sono trasferiti a Legos. Non volevano lasciarci andare per non
esporci al rischio di infezioni, al rischio di poter contrarre qualche malattia;
pensavano che tutti quegli oggetti che c’erano fossero stato il frutto diun
abbandono che era stata la conseguenza certamente di una partenza furiosa
determinata da qualche spauracchio (dalla testimonianza di Agnese Rosa
A testimonianza di un’ulteriore identità che venne data ai cocci riportiamo la
breve ma interessante testimonianza che Gino Tomasi racconta, ricordando Guido
Cauzzi, primo custode delle palafitte: “
Ricordo che Guido diceva che i locali, vedendo le masserizie
nell’acqua,dicevano fossero i “bucai dei tisec”, ovvero i boccali dei malati di
TBC! (dalla testimonianza di Gino Tomasi)
Anche le interpretazioni nate intorno ai cocci riuscivano aspiegare la
particolare presenza, ma davano una identità ben diversa da ciò che,da lì a
poco tempo, si stava per scoprire: l’
abitato palafitticolo di Ledro
Proprio in quella zona sorgeva quella che è oggi chiamata “la Colonia”.
Orginariamente questa struttura (poi adibita a Colonia appunto)come
casa e luogo di cura per i malati di TBC.
Palafitte,un po di storia ,da " Le palafitte nel cassetto"
un pò di storia ,da " Le palafitte nel cassetto"
Il momento chiave: la costruzione della nuova centrale idroelettrica di Riva
Ancora all’inizio della Prima Guerra mondiale, nel giugno del 1915, gli
alpiniavevano distrutto le centrali idroelettriche poste lungo il torrente
Ponale per im-pedirne l’uso ed i benefici agli austriaci. I bombardamenti
austriaci successivi ed i saccheggi operati terminarono l’opera di distruzione.
Appena terminata la guerra si pensò quindi alla loro ricostruzione. Le loro
condizioni però e la politica dell’epo-ca riguardo all’energia che poteva
essere sfruttata solo dall’Autorità governativa,esclusero tale soluzione. Si
pensò invece a qualcosa di completamente nuovo. Così,su progetto dell’Ing.
Alessandro Panzarasa di Milano, il Municipio di Rovereto,nel luglio 1919,
avanzò una richiesta al commissariato Civile di Riva con la quale chiedeva lo
sfruttamento dell’acqua del Ponale a partire dal Lago di Ledro , da utilizzare
come serbatoio naturale. Si arrivava fino al Lago di Garda utilizzando l’acqua
del torrente Ponale su tre salti per l’alimentazione di altrettante centrali:
una a Molina, una poco sotto Biacesa e la terza a Riva, allo sbocco del Ponale.
Un simile progetto che richiedeva la possibilità di abbassare all’occorrenzail
livello del lago fino a 10 metri sotto la superficie e la costruzione di una
digadi 16 metri che sbarrava il lago stesso, suscitò un’immediata reazione da
parte della gente ledrense. Nonostante le molte opposizioni e ricorsi
presentati ,e nonostante fosse stato dimostrato che il Lago di Ledro fosse
proprietà privata di tutti i comuni della valle, il progetto ottenne il parere
positivo degli Uffici tecnici, del Commissariato Civile e potè così prendere il
via. Ma le obiezioni comunali e tutte le rimostranze sollevate costrinsero il
Municipio di Rovereto a rivedere e rideterminare l’intero progetto. Esso venne
radicalmente cambiato dai progettisti Francesco Tomazzoni e Edoardo Model, che
lo presentarono nel 1924.Il nuovo progetto prevedeva che il lago diventasse un
vero e proprio bacino diaccumulo per la Centrale. Le acque del lago sarebbero
state incanalate, con presa diretta presso Mezzolago, e attraverso una galleria
di oltre sei chilometri,scavata nella montagna, venivano portate ad un’unica
centrale, a Riva del Garda. Il livello massimo di svaso venne portato in tal
modo da 10 a circa 23 metri.I lavori per la centrale iniziarono nel 1925 e
durarono fino al 1929, mentre quelli della galleria avevano già preso avvio nel
novembre del 1924. La galleria venne eseguita tutta a mano, con “ ponta e mazot
”, per creare i fori da mina in quella dura roccia calcarea e dolomitica. Un
lavoro massacrante, pericoloso, eseguito daminatori esperti. “
In quella circostanza, un uomo, Valentino Angelini, stava disgaggiando con un
ferro dei sassi e fu investito da una frana. Lasciò tre figli piccoli. E poi, il
fratello di Valentino, restò cieco nello scoppio di una mina (ma in un’altra
operazione) (dalla testimonianza di Fiore e Mary Rosa)
”. Venivano preparati una serie di fori, in cui venivanopoi piazzate le polveri
esplosive che facevano saltare la roccia pezzo per pezzo. Ci vollero quasi
quattro anni per completare lo scavo della galleria, del pozzo piezometrico
posto alla base della stessa. Finalmente, domenica 18 marzo 1928, di fronte a
numerose persone accorse sulle rive settentrionali del lago, venne aperto
l’ultimo diaframma di roccia che chiudeva la galleria. Alla celebrazione e al
celebre scoppio della mina presenziò l’Arcangelo” Gabriele , Gabriele
D’Annunzio, arrivato in Valle ammarando con un idrovolante (partito da Gardone)
sul piccolo lago.“
Era il 1928. Venne Gabriele D’Annunzio, un personaggio piccolo di statura;
arrivò con il suo idrovolante: avevo 8 anni e quel giorno c’era tantissima
gente. Eravamo sotto la torre della Villa Bernardinelli e fu un’esperienza
unica. Ricordo ancora la colonna d’acqua che si alzò dal lago. Ricordo anche i
lavori di costruzione della galleria. Insieme alle mie sorelle siamo andate a
percorrerla e visitarla; con gli operai che mangiavan odal Cauzzi e che
conoscevamo, siamo partite da qui a Barcesino, dove c’è la galleria di
ispezione e siamo arrivate fino a picco su Riva. Questa galleria (di ispezione)
si addentra per qualche decina di metri e ad un certo punto c’è una porta al di
la della quale passa l’acqua prelevata dal lago… Allora, quando vi entrammo,
non c’era la porta e nemmeno l’acqua e siamo così riuscite ad attraversare
tutto
fino ad arrivare fin sopra Riva. Dentro non è molto grande… è grande come
l’imbocco della galleria di ispezione. Prima che chiudessero siamo
andati…avevano iniziato i lavori nel 1925 lo stesso giorno della data di
nascita del Pio Gustavo (dalla testimonianza di Elvira Berlanda)
”.Ma tornando a quel giorno di marzo del 1928, i ricordi sono sugellati da
frasiche ancora si ricordano con grande lucidità. Fra le più celebri, quella
che lo stesso D’Annunzio, dopo aver chiesto informazioni riguardanti i lavori,
abbraccia o un frate francescano lì presente disse: “
Oh fraticello, fraticello mio, son francescano anch’io!
”. Il poeta – soldato, che ben presto si diresse al tavolo sul quale era posto
i congegno di accensione delle mine, pronunciò un breve discorso, schiacciò il
tasto e subito un boato attutito dall’acqua fece tremare le rocce soprastanti e
il suolo circostante. Erano tante le preoccupazioni, la più particolare delle
quali riguardavai livelli del lago. Si immaginava che la presenza della
galleria avrebbe determinato un immediato forte svuotamento del lago. “
Venne D’Annunzio con l’idrovolante, man giò nella zona sopra “la presa” e si
aspettavano che nel tagliare l’ultima parte della galleria il lago dovesse
calare immediatamente…ma non successe. Lavorò tanta gente a quell’opera…c’era
anche gente di Tiarno, Bezzecca e Concei (dalla testimonianza di Beppino
Toniatti) ”.
anche riguardo a quest’opera Francesco Zecchini espone il suo punto di vista,
facendo, in primis un resoconto dei lavori e delle vicende, e con-cludendo a
suo modo con commenti caustici nei confronti delle parti in causa.
“Quando il Ponale, con le sue imponenti cadute d’acqua percorreva indisturbato
il suo alveo,verso il 1880 la città di Riva, costruiva quasi alle foci del fiume
Ponale, la sua centrale elletrica e benchè in proporzioni piccoline era però
sufficiente ai bisogni dei suoi cittadini, e funzionò fino al 1906, cioè fino a
quando Rovereto e Riva in dolce amplesso, stabilirono di creare una centrale
più poderosa, sempre sfruttando le acque del fiume, erigendola a valle diBiacesa
con la presa dell’acque vicino o nelle adiacenze della fabbrica di magnesia dei
Colota Cis e figli in Molina, questa centrale doveva alimentare la forza alle
città di Rovereto e Riva. Ma siccome l’appetito viene mangiando, dopo un
periodo di circa 20 anni, i magnati delle due città, hanno presentato al
governo, un progetto grandioso, di prendere direttamente dal lago alla
profondità di 28 metri dal livello normale, l’acqua necessaria e con galleria
perforando il monte “Rocchetta” portare la stessa in un bacino scavato nella
montagna a circa 400 metri di altitudine e precisamente come si può vedere,
sopra la centrale di Riva. È logico che se il governo rilasciava una tale
concessione, per forza, doveva cessare l’a flusso dell’acqua nel fiume Ponale.
Dato che lungo il fiume esistevano molti stabilimenti che usufruivano delle
frequenti scadenze delle acque dello stesso, per far funzionare gli stessi, si
presentava chiara l’opposizione dei proprietari di detti opifici, come quella
della popolazione la quale fece presente alle autorità che la soppressione
della corrente dell’acque lungo il suo alveo, poteva portare dei danni non
indifferenti all’igiene pubblica, per il ristagno di acqua nei burroni lungo il
fiume e nel deposito di rifiuti nell’alveo. Alle autorità di è fatto presente
anche i danni che potevano derivare alle sponde del lago, molto melmose e le
frane che ne potevano derivare con lo svasamento fino alla profondità di 28
metri, dove l’acqua, come si ponesse una spina in una botte, doveva immettersi
nella galleria. Le stesse autorità non tennero in nessun conto le proteste dei
valligiani rivieraschi, e accordò la concessione per 99 anni.
I podestà dei allora singoli comuni di Molina, Prè e Biacesa dormirono della
grossa e non avanzarono nessuna pretesa, cosicché rimasero, parlando in ghergo,
fotuti… Che cosa succede? Che i comuni di Rovereto e Riva hanno fatto i conti
senza l’oste; hanno la centrale che gli è costata più di 100 millioni . Che
cosa succede? Che i comuni di Rovereto e Riva hanno fatto i conti senza l’oste;
hanno la centrale che gli è costata più di 100 millioni e non Ad onor del vero,
tanti comuni ledrensi si aggregarono ai vari ricorsi con-tro la realizzazione
dell’opera, obiettando che l’abbassamento del livello del lago avrebbe comportato
un deturpamento della bellezza della Valle, minacciando, conl’esalazione degli
scoli, la salute e l’igiene pubblica; avrebbe danneggiato la nascen-te
industria del forestiero, perché avrebbe scoperto le rive ripide e rocciose
sullequali non era possibile l’approdo delle barche, né tantomeno la
balneazione; ci sa-rebbero stati franamenti, si sarebbero persi i diritti di
abbeveraggio del bestiame ela macerazione di canapa e lino; si sarebbero
inesorabilmente danneggiate la pesca e la caccia intorno al lago.
Garibaldi, la battaglia di Bezzecca
a proposito di Garibaldi e la battaglia di Bezzecca:
da "Leonardo,crolologia e storia"
da "Leonardo,crolologia e storia"
Il corpo di GARIBALDI, rinforzato da una divisione, avrebbe compiuto la
conquista del Trentino, e l'ammiraglio PERSANO se entro otto giorni non
attaccava la flotta nemica, sarebbe stato sostituito; e il Duca di Mignano
avrebbe formato presso Reggio e comandato un corpo di riserva della forza di
tre divisioni.
Garibaldi, che già il 24 giugno aveva occupato monte Suello e il ponte del
Caffaro, ricevuto l'ordine di ritirarsi, aveva la sera del 25, sgombrato la
zona del lago d'Idro e aveva disposto le sue truppe sui contrafforti tra i
poggi del Castiglione e l'estrema punta occidentale del Garda; ma il 1° luglio,
lasciati tre reggimenti tra Salò e Lonato e spostate le truppe in Valcamonica,
aveva ripreso la marcia verso la frontiera trentina.
Il 3 luglio GARIBALDI assalì la forte posizione di Monte Suello, che gli
Austriaci difesero molto bene, ma, minacciati di aggiramento, lo abbandonarono
durante la notte. Garibaldi, ferito alla coscia, dovette ritirarsi lasciando il
comando al CORTE.
Il 4 luglio ci fu un furioso combattimento a Vezza D'Oglio, dove trovò la morte
fra gli altri l'eroico CASTELLINI, comandante del 2° battaglione Bersaglieri, e
quel giorno stesso i volontari occuparono Bagolino e il Caffaro, quindi Lodrone
e Darzo e infine Ponte di Darzo e Storo dove Garibaldi pose il Quartiere
Generale. Seguirono alcuni giorni di scaramucce.
Il 16 luglio, la brigata garibaldina del NICOTERA, spintasi a Cimego, fu
assalita dalle truppe del generale KUHN e, trovatasi in posizione svantaggiosa,
dopo una violenta resistenza, in cui perse la vita il maggiore AGOSTINO
LOMBARDI, dovette ripiegare su Condino, dove, spalleggiata da rinforzi
sopraggiunti da Storo e da Darzo e dalla presenza di Garibaldi, riuscì ancora a
fermare l'offensiva.
Intanto un'altra colonna austriaca proveniente dalla val di Ledro, inoltratasi
per le balze del Gioiro fino alla Chiesetta di S. Lorenzo aveva cominciato a
bersagliare la strada di Condino e un suo distaccamento, inerpicatosi su Rocca
Pagana batteva le vie di Storo e perfino il Quartiere generale garibaldino.
"Il momento era critico: per fortuna Garibaldi era là; una mezza batteria
opportunamente appostata e validamente sostenuta da alcune compagnie del 9°
reggimento arresta la colonna di San Lorenzo; un'altra colonna di volontari del
7° avanza a cerchio contro Rocca Pagana e ne respinge gli occupanti; finché
dopo alcune ore di contrasto, il nemico che di fronte aveva guadagnato appena
pochi palmi di terreno al di qua di Cimego, visto il fallimento del premeditato
aggiramento, udita la notizia che pure la brigata Hóffern, attardatasi, era
stata perfino meno fortunata delle altre, comandò la ritirata su tutta la linea
(Guerzoni)".
Il 17 luglio, i volontari, dopo un combattimento a Pieve di Ledro avanzarono in
val di Ledro, il 18 si scontrarono con il nemico a monte Notta; il 19 il forte
austriaco d'Ampola, contro cui operava fin dal 15 la 1a brigata sotto la
direzione del maggiore d'artiglieria DOGLIOTTI, si arrese e il 21 luglio ebbe
luogo la più importante azione della campagna garibaldina del Trentino che, dal
luogo dove fu combattuta, prese il nome di BATTAGLIA di BEZZECCA.
Due colonne austriache dovevano operare quel giorno; una comandata dal KAIM,
scendendo dalle Giudicarie, avrebbe attaccato la sinistra e il centro
garibaldino, l'altra agli ordini del MONTLUISANT, piombando attraverso la val
Concei fra Tiarno e Bezzecca, doveva sfondare la destra e, convergendo su
Ampola e Storo, aiutare la prima e insieme schiacciare il nemico.
L'attacco riuscì imprevisto ai Garibaldini. Il 5° reggimento Chiassi che era a
Locea e aveva un battaglione in avanguardia a Lenzumo, colto di sorpresa, dopo
una violento scontro ripiegò su Bezzecca, dove si difese disperatamente contro
il nemico più numeroso che attaccava da tutte le parti. Numerosi i morti e i
feriti fra i volontari. Lo stesso colonnello CHIANI, mentre con un manipolo dei
suoi tentava di arginare il nemico irrompente, fu colpito mortalmente da una
palla austriaca.
Arrivava in quel momento in carrozza, a causa della ferita toccata a Monte
Suello, GARIBALDI, il quale intuita più che vista la situazione, impartì
immediatamente precisi ordini:
"MENOTTI con quanto lei ha sottomano del 9° reggimento piombi da Tiarno
sulla destra del nemico. Colonnello SPINAZZI lei sbocchi da Molina e lo avvolga
per la destra; il 7° reggimento e i resti del 5° e dei Bersaglieri si lancino
di fronte, e tutti insieme riprendano ad ogni costo Bezzecca, chiave della
posizione e premio della vittoria".
MENOTTI, impedito dai sentieri quasi impraticabili, tardò a comparire in linea;
SPINAZZI, o ricevette tardi o fraintese l'ordine, non comparve neppure. Gli Austriaci
nel frattempo non solo si sono resi padroni incontrastati di Bezzecca, ma già
compaiono fuori del villaggio, già pongono sulle alture circostanti le
artiglierie e si preparano al terzo e finale attacco contro l'estrema linea
garibaldina.
Per i volontari di Garibaldi, la situazione divenne critica: la strada di
Tiarno era tempestata dai proiettili nemici, e lo stesso Garibaldi muovendosi
in carrozza era il più visibile e il più cercato bersaglio.
Le palle sibilano, rimbalzano, avvolgono la sua carrozza nella polvere, uno dei
cavalli è ferito, una delle sue guide a cavallo, GIANNINI, colpito anche lui
muore all'istante; la sua scorta CAIROLI, ALBANESE, DAMIANI, MICELI, CARIOLATO,
CIVININI gli fanno scudo con i loro corpi, tentano di strapparlo da quel posto
mortale, salvare lui, e se non è possibile, almeno salvar la propria pelle e la
giornata.
Ma Garibaldi ha sul volto la calma delle tragiche soluzioni, poi indica
Bezzecca: "Là si vince o si muore". Sordo ai consigli, insensibile al
pericolo, tutto assorto nelle strategia che il delicato momento richiedeva,
grida ordini e fa avanzare di corsa la batteria di riserva, poi ordina al
maggiore DOGLIATTI, eroico e sprezzante del pericolo quel giorno, di convergere
i suoi fuochi principalmente su Bezzecca, additandogli con un colpo d'occhio
magistrale la posizione più felice all'appostamento dei pezzi; su una piccola
altura a monte, prima del paese.
"Però, per arrivarci, mi ci vorrà più di mezz'ora !" grida il bravo
Dogliotti .... "Fate più presto possibile" esclama Garibaldi, mi
troverete qui vivo o morto".
E se Dogliotti non avrebbe fatto presto, la seconda ipotesi era quasi una
certezza.
Dogliotti si muove in un baleno, e le otto bocche da fuoco stupendamente
dirette producono subito il loro terribile effetto; il nemico folgorato prima
di Bezzecca, ributtato sulla via dagli uomini del 7° reggimento, ben presto
colti pure di fianco dal 9° reggimento, è costretto ad arrestarsi, a ripiegare
all'interno di Bezzecca e a prepararsi a sua volta alla difesa. E stanarli
sarebbe stato difficile.
Aveva ragione Garibaldi. Bisognava prendere Bezzecca, del resto l'artiglieria
del Dogliotti rappresentava una copertura, quindi per prenderla bisognava
andarci con la baionetta. Ed è questo l'ultimo episodio, l'ultimo sforzo della
battaglia, l'ultimo comando della giornata.
MENOTTI, CANZIO, RICCIOTTI, BEDESCHINI, RIZZI, MOSTO, ANTONGINI, PELLIZZARI,
improvvisata una falange con i più volenterosi di tutti i corpi; la soluzione è
la più disperata: quella di lanciarsi tutti insieme, intanto che il cannone del
Dogliotti manda in fiamme Bezzecca, a testa bassa, al passo di corsa, chi al
grido di Garibaldi, chi d'Italia, oppure in silenzio pensando a ciò che lo
aspettava, piombano sul villaggio, in una lotta a corpo a corpo con gli ultimi
difensori, o a inseguirli con la baionetta alle reni fino oltre Enguiso e
Lenzumo, alle falde del monte Pichea da dove erano discesi.
E poiché nello stesso momento anche la colonna KAIM, stava scendendo in val di
Chiese, trovò i Garibaldini a riceverla, e dopo un breve scontro fu respinta su
tutti i punti.
Così la vittoria del 21 luglio! facile a Condino, contrastata e sanguinosa a
Bezzecca fu compiuta su tutta la linea". (Questa è una sintesi narrata dal
Guerzoni).
Quello di Bezzecca fu l'ultimo combattimento di Garibaldi nel Trentino.
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