giovedì 31 ottobre 2013

Gazzettino novembre 1969, palafitte




La “Colonia” (già Villa Savoia)


La “Colonia” (già Villa Savoia)

Il complesso di edifici ed il parco erano sorti sul finire dell’Ottocento e i primi del Novecento come “Casa e luogo di cura” per gli ammalati di Tbc.Erano i tempi in cui Arco era un “Kurort” (luogo di cura), rinomato nell’intera Mitteleuropa, dove convergeva la nobilità dell’Impero Austro – Ungarico fra cuipure l’Arciduca Alberto. Successivamente, dopo la Prima Guerra Mondiale, quegli edifici furono ristrutturati e trasformati nell’albergo “
Hotel Villa Savoia ”,gestito da un certo Signor Wissmann e frequentato, durante la buona stagione, da persone benestanti.
Aveva verande lussuose, arricchite di roseti e altre specie difiori. La veranda centrale, in cui troneggiava un pesante biliardo era adibita al bar.Era ritenuto luogo di perdizione, proibito anche dai nostri curati, che dal pulpito invitavano adulti, giovani e ragazzi a non andare e fermarsi a quel luogo. L’Hotel (conosciuto anche con il nome di Villa Savoia) finì la sua attività nella primametà degli anni ’30. Nel 1937 fu acquistato dall’INAM (Istituto Nazionale Assi-stenza Mutua) e fu trasformato nella “
Colonia Montana Pietro Montanari
”.Fu allora che Guido Cauzzi ne divenne il custode e si trasferì con la sua famiglia.

foto e discalia tratto da "Le Palafitte nel cassetto"

Il Brogliaccio


Il Brogliaccio dei carabinieri, datato al maggio 1937, testimonia la presenza sempre attenta delle forze di sorveglianza dei Carabinieri di Molina, non solo durante i momenti di lavoro ma anche nel corso delle ore notturne. Nella stazione di Molina avevano prestato servizio, durante i cinque mesi di quel 1937 i seguenti carabinieri: Brigadiere a piedi Vivirito Biagio (comandante di stazione); Appuntato Francesco (Franco) Mura; Carabiniere Carraro Guglielmo; Carabiniere Ricozzi Paolo; Carabiniere Faltron Vittorio; Carabiniere Cagneni Flavio; Carabiniere Gastaldello Prudenzio; Carabiniere Benvenuti Giuseppe; Carabiniere Mattè Mario; Carabinere Lovo Gino -
Prop. CC

Il balletto delle centrali elettriche

Giulio Falcone

Il "balletto"  delle Centrali   Elettriche

1895. Entra  in funzione   La Centrale  Elettrica  di Riva alla Gora  del Ponale, Ia linea elet trica  corre  lungo   la strada   del  Ponale.  Il 28 novembre   1895 viene  illuminata   la  piazza Benacense  ( ora Piazza  III  Novembre).

23 maggio  1899. Don Lucillo Sartori curato di Molina  di Ledro fa richiesta  al  Municipio
di Riva per  una concessione  d'energia elettrica  alla Valle di Ledro. Non venne  raggiunto alcun accordo.

1900. Si costituisce  iI Consorzio  Elettrico  Ledrense  con sede a Molina.  II  presidente   Don Lucillo  Sartori  commissiona   un  progetto   per  una  centrale   idroelettrica.   La forza  d'acqua parte  da quota  655 (livello del lago di Ledro),  per scendere a   quota  579 con un salto  di 76 metri, sotto  la Fabbrica  della  Magnesia.  Questo  impianto,   mai realizzato,  viene denominato Centrale  Elettrica di Molina.
22 aprile 1900. La Comunita della Valle dei Concei delibera la costruzione  di un impianto idroelettrico  da  situarsi  nella  Valle dei Molini.  Da  incarico  all'ing.  Pietro  Tosana  di ela- borare  il  progetto  che viene presentato   il 12 settembre  1901, modificato  rispetto  a quello  originale  per la richiesta di allacciamento idroelettrico  del Comune di Bezzecca,
1901. Il Municipio  di Rovereto  delibera  di potenziare la forza elettrica  della città con  la
costruzione   di una  nuova  Centrale  Elettrica nel territorio  del Comune  di Biacesa. La forza d’acqua  partirebbe  da quota  579 a quota  267 con un salto di 265 metri;  una condotta  idrau-
Iica partendo  dalla presa d’acqua  prevista  per la Centrale di Molina, seguendo   in lieve pen- denza il versante sud della Bassa Valle per una lunghezza di circa 4 Km, si allaccerebbe alla condotta  forzata sita a 255 metri sulla perpendicolare   della Centrale  di Biacesa,  Don Lucillo Sartori,  accantona il progetto   per una  Centrale  Elettrica  a Molina  e chiede  l'allacciamento elettrico per tutta la Valle.
24 gennaio   1902. Il Municipio  di Rovereto  offre al Consorzio  Elettrico  Ledrense  500 kw della  costruenda    Centrale  di  Biacesa. Non c'è concordanza  tra tutti i Comuni   di  Ledro; Lenzumo,   Enguiso,  Locca e  Bezzecca iniziano le trattative   per un impianto  idroelettrico congiunto nella  Valle dei Molini, Solo i paesi della Bassa Valle decidono per l’alacciamento con Biacesa. Viene definitivamente  abbandonato il  progetto  della Centrale  di Molina.
23 maggio  1903. Don Giacomo  Regensburger,   curato  di Storo, forma  un Comitato  cittadino per  la realizzazione  di un  impianto  idroelettrico  sul torrente  Palvico.
14 agosto  1903. Il Capitanato   Distrettuale   di Riva approva  il progetto  idroelettrico  della Comunità   dei Concei e Bezzecca.
1904. I due Tiarno  abbandonano   iI progetto  Gerosa  del Municipio  di Rovereto.  A  fronte della  indifferenza delle Amministrazioni  Comunali, viene formate un Comitato  fra cittadini  dei due Tiarno  per condurre   trattative  dirette  nella scelta tra la costruenda  Centrale Elettrica dei Concei e la Centrale  Elettrica  di Storo.
9 febbraio   1905 II Comitato cittadino  dei due Tiarno  visita la  Centrale di Storo  e deci- de per l'allacciamento elettrico dei due paesi. Il  Comune  di Tiarno  di Sotto accetta  la decisione del Comitato,  il Comune  di Tiarno di Sopra  si oppone  ed inizia trattative  con Concei. A fronte  delle  proteste  dei cittadini,  anche il Comune di Tiarno di Sopra accetterà  l'allacciamento  con Storo.
10 marzo 1905. Nasce il Consorzio Elettrico dei Concei, Lo presiede Camillo Collotta.
9 dicembre   1905. L'impianto idroelettrico    dei Concei è completato  a tempo  di record: nella notte  sul Colle di Santo Stefano  viene accesa elettricamente   una  'superba  croce".

14 dicembre   1905. Inaugurazione   ufficiale  del nuovo  impianto  idroelettrico  dei Concei; L'acqua di Vies accende  la luce nelle case di Lenzumo,  Enguiso,  Locca e Bezzecca.

Illustrazione del popolo


Copertina di gennaio- febbraio 1937

Percentuali cognomi in valle di Ledro


lo sapevate ???

Vi sono a Tiarno di Sopra Cognome
85.14 Cellana
64.50 Ribaga
64.50 Tiboni
43.86 Vescovi
41.28 Merli

Vi sono a Tiarno di Sotto Cognome
64.96 Ferrari
42.56 Crosina
35.84 Fedrigotti
33.60 Degara
26.88 Leonardi

Vi sono a Bezzecca Cognome
52.60 Mora
47.34 Cis
36.82 Collotta

Vi sono a Concei Cognome
55.44 Bartoli
55.44 Segalla
42.84 Santi
42.84 Sartori
32.76 Cigalotti

Vi sono a Pieve di Ledro Cognome
49.14 Trentini
21.06 Pellegrini
21.06 Risatti
14.04 Penner
14.04 Sartori

Vi sono a Molina di Ledro Cognome
100.86 Rosa
68.88 Boccagni
56.58 Colo`
41.82 Maroni
31.98 Franzinelli


Palafitte, un po di storia, da " Le palafitte nel cassetto "




Dato che oggi lo vediamo esposto nel museo palafitticolo, è necessario ricordare la storia di un ritrovamento particolare, effettuato grazie all’indicazione di Beppino Toniatti, presso il laghetto d’Ampola. Siamo nel 1953… “
Facevamo a scuola la storia delle Palafitte di Molina con il Professor Chiocchetti. Chiocchetti, Dal Rì (Luigi) e Dorigotti insegnavano tutti e tre alle magistrali di Rovereto. Un giorno, durante una lezione di storia sostenni che c’erano, secondo me, le palafitte anche in Ampola. Dicevo questo perché andando a pescare sul lago con “la Tirlindana” (anche se era proibito) l’amo si agganciava a questi pali che erano molto ben allineati….queste sono palafitte mi son detto!! Avevo 20 anni…e allora siamo andati con i tre professori (dopo aver pranzato in Tremalzo) verso il lago d’Ampola. Purtroppo l’acqua era increspata e si vedeva davvero poco quel giorno. Dal Rì, di Mori, mio professore di storia e latino, e appassionato di ricerca… si trovò con Tomasie gli annunciò che un suo alunno aveva ritrovato questi pali, che per lui erano palafitte Dopo tre quattro giorni Tomasi era al lago d’Ampola per cercare le palafitte. E trovò la canoa e reperti…e chissà quanti reperti ci sono ancora giù…era nella zona del “pal dela luce”, dovec’è ora la baracca…quasi in mezzo al lago, sulla sponda verso verso “I Gaç” come diciamo noi. Non verso lo stradone, ma verso il bosco…Andavamo a pescare le tinche in quel punto…di pali, stando con la barca sopra l’acqua se ne vedevano parecchi… (dalla testimonianza di Beppino Toniatti)

da " Le palafitte nel cassetto "


Palafitte, un po di storia, da " Le palafitte nel cassetto"

un po di storia :



Tale palificata era interpretata come un antico lavoro di bonifica e di difesa, la cui costruzione si era persa nei meandri del tempo; appariva come un lavoro che avrebbe impedito l’asportazione del materiale che formava la riva del lago, qualora le acque del fiume Ponale (in un momento di piena) fossero scorse in maniera più violenta.E nella mente della gente di Molina, più o meno anziana, passò fino al momento della scoperta archeologica, questa teoria.

Noi non avevamo mai sentito dire che prima del ritrovamento si pensava esistessero delle palafitte.
… Nel 1929 il lago è calato e allora si è iniziato a dire che c’erano queste palafitte e che c’erano pali che emergevano dall’acqua; pero c’è anche chi diceva che erano stati piantati per frenare l’acqua, ma, sicuramente, non si sapeva chi poteva essere stato a piantarli e quando (dalla testimonianza di Attilio e Silvio Rosa)
”. La zona era ricoperta dalle acque del lago; ciò che solamente emergeva era un piccolo isolotto, situato all’imboccatura del fiume. Si pescava, si raccoglieva il legname e vi si attraccavano le barche.
La presenza di pali poteva essere motivata dalla perizia lavorativa degli antenati.A conferma la notizia che nella Valle di Ledro fosse viva la tradizione che dove cominciava l’emissario (il fiume Ponale), quindi proprio nel punto in cui è la stazione palafitticola, gli abitanti del luogo avessero costruito e mantenuto uno sbarramento formato da pali, senza dubbio uniti da intreccio di ramoscelli;il tutto per impedire che il livello dell’acqua del lago si abbassasse. E infine si aggiunge anche la conferma di alcuni abitanti di Molina che hanno sentito parlare i loro padri di questa “struttura particolare”: “
Mio papà […] raccontava che andavano dentro a pescare quando era giovane; passando con la barca nella zona delle palafitte vedevano giù i pali e si chiedevano cosa potesse essere ; risposta era che, dato che tiravano fuori il legname con il lago ghiacciato, forse quella poteva essere una “draga” per fermare i tronchi. Questo pensavano i vecchi, e, prima che venisse il Battaglia, la teoria era quella (dalla testimonianza di Faustino Baldessari)”
.E ancora: “
A dire il vero non si dava tanta importanza alla scoperta...all’inizio pensavano fosse una specie di diga che fermasse le acque del lago... tanti anche dopo l’evidenza del sito eranomolto scettici della spiegazione archeologica… (dalla testimonianza di Umberto Canali)

L'attuale sbarramento, rifatto nei secoli, andava quindi attribuita la presenza di così tanti pali piantati in età non molto lontana, ma certamente di molto posteriore alla vita del sito palafitticolo. Con ciò, concludeva il Paret, “
si sarebbe potuto spiegare anche il perché alcuni pali hanno forato e attraversato tavole di legno ed anche una piroga
”.Se la presenza dei pali poteva in questo modo essere giustificata, non cisi spiegava però la grande quantità di pezzi e cocci ceramici che si trovarono sul fondo, alla base degli stessi pali, al momento dei primi abbassamenti del lago….Ma una antica storia era passata come verità: “
Mi veniva raccontato che quando si ri-trovavano dei cocci nel lago, nei pressi delle attuali palafitte si pensava fossero “le cépe” dei Zecchini. Erano i Zecchini “Paroni del Lac”, che possedevano le acque e i territori circostanti il lago. Si diceva che ai tempi della peste i poveri si tenessero le loro scodelle e le lavavano,mentre questi Zecchini, “siori”, potevano permettersi di buttarle via, nel lago. Era passata questa tradizione… erano “le cepe” di cui si erano sbarazzati i Zecchini. (dalla testimonianza di Antonio Zecchini
E ancora, Agnese Rosa, “la maestra Agnese” ricorda:“
E dicevano in paese: “Guarda che vanno là dentro, in una zona che certamente è infetta perchè li, sicuramente, c’è stata qualche grave malattia …”. Allora tutti quegli oggetti che avevano li hanno scaricati e poi hanno abbandonato il luogo e si sono trasferiti a Legos. Non volevano lasciarci andare per non esporci al rischio di infezioni, al rischio di poter contrarre qualche malattia; pensavano che tutti quegli oggetti che c’erano fossero stato il frutto diun abbandono che era stata la conseguenza certamente di una partenza furiosa determinata da qualche spauracchio (dalla testimonianza di Agnese Rosa
A testimonianza di un’ulteriore identità che venne data ai cocci riportiamo la breve ma interessante testimonianza che Gino Tomasi racconta, ricordando Guido Cauzzi, primo custode delle palafitte: “
Ricordo che Guido diceva che i locali, vedendo le masserizie nell’acqua,dicevano fossero i “bucai dei tisec”, ovvero i boccali dei malati di TBC! (dalla testimonianza di Gino Tomasi)
Anche le interpretazioni nate intorno ai cocci riuscivano aspiegare la particolare presenza, ma davano una identità ben diversa da ciò che,da lì a poco tempo, si stava per scoprire: l’
abitato palafitticolo di Ledro
Proprio in quella zona sorgeva quella che è oggi chiamata “la Colonia”.
Orginariamente questa struttura (poi adibita a Colonia appunto)come
casa e luogo di cura per i malati di TBC.

da "Le palafitte nel cassetto"
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Palafitte,un po di storia ,da " Le palafitte nel cassetto"

un pò di storia ,da " Le palafitte nel cassetto"

Il momento chiave: la costruzione della nuova centrale idroelettrica di Riva
Ancora all’inizio della Prima Guerra mondiale, nel giugno del 1915, gli alpiniavevano distrutto le centrali idroelettriche poste lungo il torrente Ponale per im-pedirne l’uso ed i benefici agli austriaci. I bombardamenti austriaci successivi ed i saccheggi operati terminarono l’opera di distruzione.

Appena terminata la guerra si pensò quindi alla loro ricostruzione. Le loro condizioni però e la politica dell’epo-ca riguardo all’energia che poteva essere sfruttata solo dall’Autorità governativa,esclusero tale soluzione. Si pensò invece a qualcosa di completamente nuovo. Così,su progetto dell’Ing. Alessandro Panzarasa di Milano, il Municipio di Rovereto,nel luglio 1919, avanzò una richiesta al commissariato Civile di Riva con la quale chiedeva lo sfruttamento dell’acqua del Ponale a partire dal Lago di Ledro , da utilizzare come serbatoio naturale. Si arrivava fino al Lago di Garda utilizzando l’acqua del torrente Ponale su tre salti per l’alimentazione di altrettante centrali: una a Molina, una poco sotto Biacesa e la terza a Riva, allo sbocco del Ponale.

Un simile progetto che richiedeva la possibilità di abbassare all’occorrenzail livello del lago fino a 10 metri sotto la superficie e la costruzione di una digadi 16 metri che sbarrava il lago stesso, suscitò un’immediata reazione da parte della gente ledrense. Nonostante le molte opposizioni e ricorsi presentati ,e nonostante fosse stato dimostrato che il Lago di Ledro fosse proprietà privata di tutti i comuni della valle, il progetto ottenne il parere positivo degli Uffici tecnici, del Commissariato Civile e potè così prendere il via. Ma le obiezioni comunali e tutte le rimostranze sollevate costrinsero il Municipio di Rovereto a rivedere e rideterminare l’intero progetto. Esso venne radicalmente cambiato dai progettisti Francesco Tomazzoni e Edoardo Model, che lo presentarono nel 1924.Il nuovo progetto prevedeva che il lago diventasse un vero e proprio bacino diaccumulo per la Centrale. Le acque del lago sarebbero state incanalate, con presa diretta presso Mezzolago, e attraverso una galleria di oltre sei chilometri,scavata nella montagna, venivano portate ad un’unica centrale, a Riva del Garda. Il livello massimo di svaso venne portato in tal modo da 10 a circa 23 metri.I lavori per la centrale iniziarono nel 1925 e durarono fino al 1929, mentre quelli della galleria avevano già preso avvio nel novembre del 1924. La galleria venne eseguita tutta a mano, con “ ponta e mazot ”, per creare i fori da mina in quella dura roccia calcarea e dolomitica. Un lavoro massacrante, pericoloso, eseguito daminatori esperti. “
In quella circostanza, un uomo, Valentino Angelini, stava disgaggiando con un ferro dei sassi e fu investito da una frana. Lasciò tre figli piccoli. E poi, il fratello di Valentino, restò cieco nello scoppio di una mina (ma in un’altra operazione) (dalla testimonianza di Fiore e Mary Rosa)
”. Venivano preparati una serie di fori, in cui venivanopoi piazzate le polveri esplosive che facevano saltare la roccia pezzo per pezzo. Ci vollero quasi quattro anni per completare lo scavo della galleria, del pozzo piezometrico posto alla base della stessa. Finalmente, domenica 18 marzo 1928, di fronte a numerose persone accorse sulle rive settentrionali del lago, venne aperto l’ultimo diaframma di roccia che chiudeva la galleria. Alla celebrazione e al celebre scoppio della mina presenziò l’Arcangelo” Gabriele , Gabriele D’Annunzio, arrivato in Valle ammarando con un idrovolante (partito da Gardone) sul piccolo lago.“
Era il 1928. Venne Gabriele D’Annunzio, un personaggio piccolo di statura; arrivò con il suo idrovolante: avevo 8 anni e quel giorno c’era tantissima gente. Eravamo sotto la torre della Villa Bernardinelli e fu un’esperienza unica. Ricordo ancora la colonna d’acqua che si alzò dal lago. Ricordo anche i lavori di costruzione della galleria. Insieme alle mie sorelle siamo andate a percorrerla e visitarla; con gli operai che mangiavan odal Cauzzi e che conoscevamo, siamo partite da qui a Barcesino, dove c’è la galleria di ispezione e siamo arrivate fino a picco su Riva. Questa galleria (di ispezione) si addentra per qualche decina di metri e ad un certo punto c’è una porta al di la della quale passa l’acqua prelevata dal lago… Allora, quando vi entrammo, non c’era la porta e nemmeno l’acqua e siamo così riuscite ad attraversare tutto
fino ad arrivare fin sopra Riva. Dentro non è molto grande… è grande come l’imbocco della galleria di ispezione. Prima che chiudessero siamo andati…avevano iniziato i lavori nel 1925 lo stesso giorno della data di nascita del Pio Gustavo (dalla testimonianza di Elvira Berlanda)
”.Ma tornando a quel giorno di marzo del 1928, i ricordi sono sugellati da frasiche ancora si ricordano con grande lucidità. Fra le più celebri, quella che lo stesso D’Annunzio, dopo aver chiesto informazioni riguardanti i lavori, abbraccia o un frate francescano lì presente disse: “
Oh fraticello, fraticello mio, son francescano anch’io!
”. Il poeta – soldato, che ben presto si diresse al tavolo sul quale era posto i congegno di accensione delle mine, pronunciò un breve discorso, schiacciò il tasto e subito un boato attutito dall’acqua fece tremare le rocce soprastanti e il suolo circostante. Erano tante le preoccupazioni, la più particolare delle quali riguardavai livelli del lago. Si immaginava che la presenza della galleria avrebbe determinato un immediato forte svuotamento del lago. “
Venne D’Annunzio con l’idrovolante, man giò nella zona sopra “la presa” e si aspettavano che nel tagliare l’ultima parte della galleria il lago dovesse calare immediatamente…ma non successe. Lavorò tanta gente a quell’opera…c’era anche gente di Tiarno, Bezzecca e Concei (dalla testimonianza di Beppino Toniatti) ”.
anche riguardo a quest’opera Francesco Zecchini espone il suo punto di vista, facendo, in primis un resoconto dei lavori e delle vicende, e con-cludendo a suo modo con commenti caustici nei confronti delle parti in causa.
“Quando il Ponale, con le sue imponenti cadute d’acqua percorreva indisturbato il suo alveo,verso il 1880 la città di Riva, costruiva quasi alle foci del fiume Ponale, la sua centrale elletrica e benchè in proporzioni piccoline era però sufficiente ai bisogni dei suoi cittadini, e funzionò fino al 1906, cioè fino a quando Rovereto e Riva in dolce amplesso, stabilirono di creare una centrale più poderosa, sempre sfruttando le acque del fiume, erigendola a valle diBiacesa con la presa dell’acque vicino o nelle adiacenze della fabbrica di magnesia dei Colota Cis e figli in Molina, questa centrale doveva alimentare la forza alle città di Rovereto e Riva. Ma siccome l’appetito viene mangiando, dopo un periodo di circa 20 anni, i magnati delle due città, hanno presentato al governo, un progetto grandioso, di prendere direttamente dal lago alla profondità di 28 metri dal livello normale, l’acqua necessaria e con galleria perforando il monte “Rocchetta” portare la stessa in un bacino scavato nella montagna a circa 400 metri di altitudine e precisamente come si può vedere, sopra la centrale di Riva. È logico che se il governo rilasciava una tale concessione, per forza, doveva cessare l’a flusso dell’acqua nel fiume Ponale. Dato che lungo il fiume esistevano molti stabilimenti che usufruivano delle frequenti scadenze delle acque dello stesso, per far funzionare gli stessi, si presentava chiara l’opposizione dei proprietari di detti opifici, come quella della popolazione la quale fece presente alle autorità che la soppressione della corrente dell’acque lungo il suo alveo, poteva portare dei danni non indifferenti all’igiene pubblica, per il ristagno di acqua nei burroni lungo il fiume e nel deposito di rifiuti nell’alveo. Alle autorità di è fatto presente anche i danni che potevano derivare alle sponde del lago, molto melmose e le frane che ne potevano derivare con lo svasamento fino alla profondità di 28 metri, dove l’acqua, come si ponesse una spina in una botte, doveva immettersi nella galleria. Le stesse autorità non tennero in nessun conto le proteste dei valligiani rivieraschi, e accordò la concessione per 99 anni.
I podestà dei allora singoli comuni di Molina, Prè e Biacesa dormirono della grossa e non avanzarono nessuna pretesa, cosicché rimasero, parlando in ghergo, fotuti… Che cosa succede? Che i comuni di Rovereto e Riva hanno fatto i conti senza l’oste; hanno la centrale che gli è costata più di 100 millioni . Che cosa succede? Che i comuni di Rovereto e Riva hanno fatto i conti senza l’oste; hanno la centrale che gli è costata più di 100 millioni e non Ad onor del vero, tanti comuni ledrensi si aggregarono ai vari ricorsi con-tro la realizzazione dell’opera, obiettando che l’abbassamento del livello del lago avrebbe comportato un deturpamento della bellezza della Valle, minacciando, conl’esalazione degli scoli, la salute e l’igiene pubblica; avrebbe danneggiato la nascen-te industria del forestiero, perché avrebbe scoperto le rive ripide e rocciose sullequali non era possibile l’approdo delle barche, né tantomeno la balneazione; ci sa-rebbero stati franamenti, si sarebbero persi i diritti di abbeveraggio del bestiame ela macerazione di canapa e lino; si sarebbero inesorabilmente danneggiate la pesca e la caccia intorno al lago.


Garibaldi, la battaglia di Bezzecca

a proposito di Garibaldi e la battaglia di Bezzecca:
da "Leonardo,crolologia e storia"



Il corpo di GARIBALDI, rinforzato da una divisione, avrebbe compiuto la conquista del Trentino, e l'ammiraglio PERSANO se entro otto giorni non attaccava la flotta nemica, sarebbe stato sostituito; e il Duca di Mignano avrebbe formato presso Reggio e comandato un corpo di riserva della forza di tre divisioni.
Garibaldi, che già il 24 giugno aveva occupato monte Suello e il ponte del Caffaro, ricevuto l'ordine di ritirarsi, aveva la sera del 25, sgombrato la zona del lago d'Idro e aveva disposto le sue truppe sui contrafforti tra i poggi del Castiglione e l'estrema punta occidentale del Garda; ma il 1° luglio, lasciati tre reggimenti tra Salò e Lonato e spostate le truppe in Valcamonica, aveva ripreso la marcia verso la frontiera trentina.
Il 3 luglio GARIBALDI assalì la forte posizione di Monte Suello, che gli Austriaci difesero molto bene, ma, minacciati di aggiramento, lo abbandonarono durante la notte. Garibaldi, ferito alla coscia, dovette ritirarsi lasciando il comando al CORTE.
Il 4 luglio ci fu un furioso combattimento a Vezza D'Oglio, dove trovò la morte fra gli altri l'eroico CASTELLINI, comandante del 2° battaglione Bersaglieri, e quel giorno stesso i volontari occuparono Bagolino e il Caffaro, quindi Lodrone e Darzo e infine Ponte di Darzo e Storo dove Garibaldi pose il Quartiere Generale. Seguirono alcuni giorni di scaramucce.
Il 16 luglio, la brigata garibaldina del NICOTERA, spintasi a Cimego, fu assalita dalle truppe del generale KUHN e, trovatasi in posizione svantaggiosa, dopo una violenta resistenza, in cui perse la vita il maggiore AGOSTINO LOMBARDI, dovette ripiegare su Condino, dove, spalleggiata da rinforzi sopraggiunti da Storo e da Darzo e dalla presenza di Garibaldi, riuscì ancora a fermare l'offensiva.
Intanto un'altra colonna austriaca proveniente dalla val di Ledro, inoltratasi per le balze del Gioiro fino alla Chiesetta di S. Lorenzo aveva cominciato a bersagliare la strada di Condino e un suo distaccamento, inerpicatosi su Rocca Pagana batteva le vie di Storo e perfino il Quartiere generale garibaldino. "Il momento era critico: per fortuna Garibaldi era là; una mezza batteria opportunamente appostata e validamente sostenuta da alcune compagnie del 9° reggimento arresta la colonna di San Lorenzo; un'altra colonna di volontari del 7° avanza a cerchio contro Rocca Pagana e ne respinge gli occupanti; finché dopo alcune ore di contrasto, il nemico che di fronte aveva guadagnato appena pochi palmi di terreno al di qua di Cimego, visto il fallimento del premeditato aggiramento, udita la notizia che pure la brigata Hóffern, attardatasi, era stata perfino meno fortunata delle altre, comandò la ritirata su tutta la linea (Guerzoni)".
Il 17 luglio, i volontari, dopo un combattimento a Pieve di Ledro avanzarono in val di Ledro, il 18 si scontrarono con il nemico a monte Notta; il 19 il forte austriaco d'Ampola, contro cui operava fin dal 15 la 1a brigata sotto la direzione del maggiore d'artiglieria DOGLIOTTI, si arrese e il 21 luglio ebbe luogo la più importante azione della campagna garibaldina del Trentino che, dal luogo dove fu combattuta, prese il nome di BATTAGLIA di BEZZECCA.
Due colonne austriache dovevano operare quel giorno; una comandata dal KAIM, scendendo dalle Giudicarie, avrebbe attaccato la sinistra e il centro garibaldino, l'altra agli ordini del MONTLUISANT, piombando attraverso la val Concei fra Tiarno e Bezzecca, doveva sfondare la destra e, convergendo su Ampola e Storo, aiutare la prima e insieme schiacciare il nemico.
L'attacco riuscì imprevisto ai Garibaldini. Il 5° reggimento Chiassi che era a Locea e aveva un battaglione in avanguardia a Lenzumo, colto di sorpresa, dopo una violento scontro ripiegò su Bezzecca, dove si difese disperatamente contro il nemico più numeroso che attaccava da tutte le parti. Numerosi i morti e i feriti fra i volontari. Lo stesso colonnello CHIANI, mentre con un manipolo dei suoi tentava di arginare il nemico irrompente, fu colpito mortalmente da una palla austriaca.
Arrivava in quel momento in carrozza, a causa della ferita toccata a Monte Suello, GARIBALDI, il quale intuita più che vista la situazione, impartì immediatamente precisi ordini:
"MENOTTI con quanto lei ha sottomano del 9° reggimento piombi da Tiarno sulla destra del nemico. Colonnello SPINAZZI lei sbocchi da Molina e lo avvolga per la destra; il 7° reggimento e i resti del 5° e dei Bersaglieri si lancino di fronte, e tutti insieme riprendano ad ogni costo Bezzecca, chiave della posizione e premio della vittoria".
MENOTTI, impedito dai sentieri quasi impraticabili, tardò a comparire in linea; SPINAZZI, o ricevette tardi o fraintese l'ordine, non comparve neppure. Gli Austriaci nel frattempo non solo si sono resi padroni incontrastati di Bezzecca, ma già compaiono fuori del villaggio, già pongono sulle alture circostanti le artiglierie e si preparano al terzo e finale attacco contro l'estrema linea garibaldina.
Per i volontari di Garibaldi, la situazione divenne critica: la strada di Tiarno era tempestata dai proiettili nemici, e lo stesso Garibaldi muovendosi in carrozza era il più visibile e il più cercato bersaglio.
Le palle sibilano, rimbalzano, avvolgono la sua carrozza nella polvere, uno dei cavalli è ferito, una delle sue guide a cavallo, GIANNINI, colpito anche lui muore all'istante; la sua scorta CAIROLI, ALBANESE, DAMIANI, MICELI, CARIOLATO, CIVININI gli fanno scudo con i loro corpi, tentano di strapparlo da quel posto mortale, salvare lui, e se non è possibile, almeno salvar la propria pelle e la giornata.
Ma Garibaldi ha sul volto la calma delle tragiche soluzioni, poi indica Bezzecca: "Là si vince o si muore". Sordo ai consigli, insensibile al pericolo, tutto assorto nelle strategia che il delicato momento richiedeva, grida ordini e fa avanzare di corsa la batteria di riserva, poi ordina al maggiore DOGLIATTI, eroico e sprezzante del pericolo quel giorno, di convergere i suoi fuochi principalmente su Bezzecca, additandogli con un colpo d'occhio magistrale la posizione più felice all'appostamento dei pezzi; su una piccola altura a monte, prima del paese.
"Però, per arrivarci, mi ci vorrà più di mezz'ora !" grida il bravo Dogliotti .... "Fate più presto possibile" esclama Garibaldi, mi troverete qui vivo o morto".
E se Dogliotti non avrebbe fatto presto, la seconda ipotesi era quasi una certezza.
Dogliotti si muove in un baleno, e le otto bocche da fuoco stupendamente dirette producono subito il loro terribile effetto; il nemico folgorato prima di Bezzecca, ributtato sulla via dagli uomini del 7° reggimento, ben presto colti pure di fianco dal 9° reggimento, è costretto ad arrestarsi, a ripiegare all'interno di Bezzecca e a prepararsi a sua volta alla difesa. E stanarli sarebbe stato difficile.
Aveva ragione Garibaldi. Bisognava prendere Bezzecca, del resto l'artiglieria del Dogliotti rappresentava una copertura, quindi per prenderla bisognava andarci con la baionetta. Ed è questo l'ultimo episodio, l'ultimo sforzo della battaglia, l'ultimo comando della giornata.
MENOTTI, CANZIO, RICCIOTTI, BEDESCHINI, RIZZI, MOSTO, ANTONGINI, PELLIZZARI, improvvisata una falange con i più volenterosi di tutti i corpi; la soluzione è la più disperata: quella di lanciarsi tutti insieme, intanto che il cannone del Dogliotti manda in fiamme Bezzecca, a testa bassa, al passo di corsa, chi al grido di Garibaldi, chi d'Italia, oppure in silenzio pensando a ciò che lo aspettava, piombano sul villaggio, in una lotta a corpo a corpo con gli ultimi difensori, o a inseguirli con la baionetta alle reni fino oltre Enguiso e Lenzumo, alle falde del monte Pichea da dove erano discesi.
E poiché nello stesso momento anche la colonna KAIM, stava scendendo in val di Chiese, trovò i Garibaldini a riceverla, e dopo un breve scontro fu respinta su tutti i punti.
Così la vittoria del 21 luglio! facile a Condino, contrastata e sanguinosa a Bezzecca fu compiuta su tutta la linea". (Questa è una sintesi narrata dal Guerzoni).
Quello di Bezzecca fu l'ultimo combattimento di Garibaldi nel Trentino.