un po di storia nostra;
Giancarlo Colò (1778-1844): aspetti biografici
di Antonio Carlini
La famiglia Colò
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Giancarlo Colò (1778-1844): aspetti biografici
di Antonio Carlini
La famiglia Colò
La famiglia Colò è originaria della Valle di Ledro, dove la sua presenza è
documentata a partire almeno dal 1586. Colò è diminutivo di Nicolò, come si
chiamava probabilmente il capostipite, ma l’etimo rimanda anche a una località
della valle, dove fino al XIX secolo erano attivi due forni fusori per il
ferro. Una serie di atti notarili, rogati da Lorenzo Guella e Domenico Clemente
Risatti fra 1751 e 1809, citano i Colò come protagonisti della vita economica a
Molina, Pieve di Ledro e Riva del Garda, dove a metà Settecento si era
trasferito un ramo della famiglia. Uno di questi documenti, datato 25 ottobre
1806 (vergato in «Casa Colò di sopra in Molina di Ledro»), attribuisce la
qualifica di dottore a un Massimiliano Colò, mentre chiama “nobili” i suoi
figli Angelo e Giovanni Battista (tenente maggiore). Effettivamente la famiglia
Colò era benestante e possedeva rendite consistenti. Almeno tre componenti il
casato, fra XVIII e XIX secolo, esercitavano la professione di notai – Colò
Massimiliano da Molina di Ledro (1785-1795: Giudizio di Molina di Ledro), Colò
Pietro Antonio da Riva (1802-1817: Giudizio di Riva) e Colò Antonio di Riva
(1790: Giudizio di Riva) –, mentre altri sei membri – Colò Antonio da Preore
(1811-1870), Colò Bartolomeo da Biacesa (1721-1795), Colò Giacomo da Molina di
Ledro (1740-1805), Colò Giovanni Battista da Riva (1731-1795), Colò Giovanni
Paolo da Biacesa (1772-1840) e Colò Giuseppe (1718-1764) – erano
sacerdoti.
Nel 1759 i Colò avevano ricevuto la nobiltà vescovile dal principe-vescovo
Francesco Felice Alberti d’Enno pagando, probabilmente, le prescritte tasse
fissate dal costume del tempo.4 Massimiliano si era poi laureato in
giurisprudenza all’Università di Salisburgo e come dottore in legge, nel 1777,
firmava gli Ordini della Valle di Ledro: «Io Massimiliano Colò delle LL. Dot.,
e Not. […] ho scritto», sottoscritti anche da un Angelo fu Giovanni Colò
«Console di Molina»; lo stesso anno «Antonio Colò di Biaseza» confermava,
assieme ad altri, gli Statuti della Valle.
Studente a Salisburgo – dal 1800 al 1807, iscritto gratuitamente al Collegio
Rupertinum come appartenente alla nobiltà minore – fu anche il figlio di
Massimiliano Angelo, [7] successivamente autore di un interessante opuscolo a
sfondo musicale (Prodromo sull’azione salutare del magnetismo animale e della
musica, ossia, Ragguaglio di tre interessanti guarigioni ultimamente ottenute
col mezzo del magnetismo animale e della musica) edito a Bologna da Lucchesini
nel 1815. [8] Nel segno probabile dell’arte correva pure, ad inizio Ottocento,
l’amicizia fra un non meglio specificato Colò, «impiegato», e il celebre poeta
nato a Molina di Ledro Andrea Maffei: tale Colò, infatti, veniva chiamato dal
Maffei quale testimone al proprio matrimonio con la contessa Clara, nozze
celebrate a Milano il 10 marzo 1832. [9] La vena musicale nei Colò scorrerà ancora
in Val di Ledro: il 16 gennaio 1891 all’età di 73 anni moriva infatti Antonio
Colò, «detto dall’Organo pel fatto ch’egli per molti anni fu l’organista in
alcune chiese della Valle ledrense», suonatore anche di violino e ocarina. La
sua passione e abilità per il pianoforte veniva trasmessa ai figli Santo,
Nicola e Maria.
La piazza di Riva - Litografia su disegno di Basilio Armania praticare l’arte
già a Riva del Garda, dove c’era un maestro organista in servizio presso la
Chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta che si prestava anche a lezioni
private. [11] Ai primi rudimenti in loco, il giovane Colò aggiungeva presto
studi più approfonditi a Salisburgo e quindi a Vienna, meta obbligata per i
centri dipendenti dal vecchio Principato di Trento, i cui collegi accoglievano
al tempo i rampolli di molte famiglie nobili trentine. Filosofia, matematica e
musica diventavano i principali interessi di Giancarlo a Salisburgo, dove
frequentava i primi gradi delle scuole umanistiche fino ai 16 anni. Nel 1793 si
spostava a Vienna. forse al seguito di un parente o per perfezionare gli studi
musicali in una capitale frequentata da una consistente comunità di trentini;
tra cui anche ottimi musicisti come il banchiere Giuseppe Antonio Bridi, amico
di Mozart. Certamente la musica doveva giocare già un ruolo importante nella
vita di Giancarlo Colò se, probabilmente attraverso la presentazione di qualche
illustre personaggio, veniva ammesso alla prestigiosa scuola del celebre
contrappuntista Johann Georg Albrechtsberger, insegnante di Ludwig van
Beethoven e tra i più insigni didatti dell’Ottocento in Europa.
Il Colò si avvicinava così ai metodi compilati da Johann Joseph Fux e Giuseppe
Tartini, perfezionava il pianoforte, l’organo, il violino e la composizione
completando la propria formazione teorica. Cominciava anche a lavorare, dando
soprattutto lezioni private di musica e scrivendo variazioni brillanti, sonate,
danze e pagine cameristiche, che, a partire dal 1804, venivano regolarmente
pubblicate dagli editori più importanti della città, Cappi e Weigl. Il Colò
entrava dunque a far parte di quel fervido mondo musicale che, con i grandi
nomi di Haydn, Mozart, Beethoven, Strauss, Liszt, Hummel, rendeva Vienna una
capitale mondiale della musica. Alla costruzione di quel particolare gusto
salottiero del fare musica identificativo della borghesia viennese di primo
Ottocento, il Colò contribuiva con le sue opere, ma anche con l’insegnamento
impartito alle belle fanciulle come a veri e propri concertisti, come il
mandolinista Bartolomeo Bortolazzi nato nel 1772 a Toscolano Maderno, paese
sulla sponda occidentale del lago di Garda a poca distanza da Riva. Una
frequentazione che conferma come a Vienna “i trentini” o “gli italiani”
facessero in un certo senso gruppo, aiutandosi e ricercandosi a vicenda. Nel
caso specifico inoltre il Bortolazzi aveva sposato una certa Margherita
Leonardi, il cui cognome rimanda ad una famiglia probabilmente trentina se non
rivana. Il rapporto tra i due fu molto proficuo per il mandolinista, talentoso
ma assolutamente ignorante, dal Colò trasformato nel creativo virtuoso poi
lodato dai giornali più autorevoli di Londra, Dresda, Lipsia e Berlino;
ammirato per le composizioni davvero numerose pubblicate in tutta Europa e
ricercato da musicisti, come Hummel, che gli dedicò il suo Concerto per
mandolino e orchestra.
Non conosciamo la data precisa di rientro in patria del maestro Colò. Dal suo
necrologio, pubblicato sul «Messaggiere tirolese» nel 1844 e compilato da
Antonio Micheletti o Antonio Musch, entrambi suoi allievi, risulta che Colò
avesse deciso di abbandonare Vienna, attorno al 1810, perché sopraffatto dalla
nostalgia. Il rientro a casa fu segnato subito da non meglio precisate «prove
acerbe», «sventure» e «durissime circostanze». Trovò lavoro a Rovereto, dove
pur non esistendo ancora una vera e propria Società Filarmonica, era attivo un
gruppo di dilettanti che si prestava per balli, accademie, spettacoli teatrali
e cerimonie religiose all’interno soprattutto del Casino dei nobili. Pur
operando a Rovereto nel 1813, Colò era conosciuto a Trento, tanto da ricevere
nel mese di giugno la nomina a maestro di Cappella della Cattedrale,
subentrando a Francesco Antonio Berera appena scomparso; un incarico che
sottintendeva preparazione e curriculum di assoluto prestigio. Ma il Colò
rinunciava, fermato probabilmente da quelle «durissime circostanze» – problemi
o di salute o di famiglia – ricordate nel suo necrologio, salvo riprendere il
lavoro, due anni dopo, nel 1815, a Trento quale insegnante di Canto nell’appena
ricostituita Scuola Filarmonica. La nomina ufficiale a maestro di Cappella del
Duomo di Trento gli veniva rinnovata il 31 maggio del 1823: Giancarlo Colò
mantenne tale incarico fino alla morte sopraggiunta il 9 dicembre 1844 nella
casa d’abitazione (di proprietà dei Crosina) in Piazza delle Erbe, dove viveva
con la moglie Marianna.
Non furono anni sereni gli ultimi del Colò, che moriva «gravato di debiti, e
privo di mezzi per sanarli»; i suoi creditori furono comunque soddisfatti
grazie ad una decisione del Vescovo che destinava loro l’intero salario dovuto
all’organista per il 1845, favorito in «questa opera di carità» dalla supplenza
gratuita di don Antonio Musch.
Attività artistica
Giancarlo Colò, compositore, esecutore (all’organo, al pianoforte e alla viola)
e insegnante, riassume i caratteri tipici del musicista d’inizio Ottocento,
protagonista di un mercato ancora in bilico fra libera imprenditorialità e
antico mecenatismo. Nella moderna e consumistica città di Vienna, il Colò non
esitava a pubblicare, presso gli editori Cappi e Weigl, diverse pagine
pianistiche nello stile leggero, comunicativo, brillante e un po’ frivolo del
tempo per conquistare il favore della ricca clientela disposta a investire
denaro nelle lezioni private. Nella più austera città di Trento, ormai sicuro
della propria posizione professionale, si concentrava maggiormente
sull’insegnamento pubblico, dedicandosi alla composizione solo per obbligo
contrattuale e quindi indirizzando la propria creatività al settore della musica
liturgica. Le partiture rimaste, solo manoscritte in quanto destinate non ad un
mercato ma all’uso locale della Cappella, comprendono Litanie, Versetti, Salmi,
Messe e un Ecce sacerdos magnus per la presa di possesso del Vescovo Francesco
Saverio Luschin (1824). Considerandone le qualità estetiche, alla sua morte, la
stampa trovava motivo per definire lo stile del musicista un’arte «che sdegna
ogni solletico, ma si fa modello al grandioso». [16]
Assai più amato della composizione fu sicuramente il momento esecutivo, mai
tralasciato nella sua vita. Le cronache ci restituiscono una prima immagine del
‘pianista’ Giancarlo Colò il 19 maggio 1816, impegnato al Teatro Grande di
Rovereto (l’attuale Teatro Zandonai) con il fagottista Giovanni Schumaz per
l’esecuzione delle Variazioni, Adagio e Rondò per fagotto e fortepiano di
Valesi. [17] Qualche mese dopo, il 29 ottobre, nella chiesa di Santa Maria
Maggiore alle 6½ di mattina, accompagnava all’organo con «varie scelte suonate»
la santa messa, celebrata per l’imperatore in visita nella città di Trento. La
sua perizia nel settore organistico veniva più volte sfruttata per il collaudo
di nuovi manufatti o restauri: così l’8 dicembre 1829 con Davide Urmacher
firmava il collaudo dell’organo di Mezzolombardo [18] e il 31 ottobre 1830 con
Damiano Damiani il ricostituito organo di Santa Maria Maggiore in Trento. La
stabilità dell’impiego quale insegnante e Maestro di Cappella lo obbligava, a
partire dal 1824, ad un servizio continuativo e spesso gratuito nell’orchestra
della Filarmonica e del Teatro. Qui imbracciava preferibilmente la più rara
viola, già utilizzata a Rovereto il 14 e 15 ottobre 1822 nella rappresentazione
dell’oratorio L’Ombra di Samuele di Giuseppe Aloisi. Dal 1824 al 1834 era
regolarmente stipendiato quale prima viola nelle stagioni liriche e veglioni
del Teatro Mazzurana, affrontando le partiture di maggior successo di Rossini,
Mercadante, Generali, ecc. Più partecipato fu l’impegno didattico, esercitato
nella Scuola promossa dalla Filarmonica: assunto dal 1815 al 1844, il Colò
insegnava per dieci mesi due ore tutti i giorni feriali canto e solfeggio per
un compenso di 160 fiorini all’anno; doveva inoltre prestarsi gratuitamente con
il violino o la viola nell’orchestra dell’Istituto durante le accademie, facendosi
invece pagare per i balletti e le feste da ballo. Interessante l’opinione
espressa il 25 aprile 1839 sullo sviluppo della classe di canto possibile,
secondo il maestro, solo a fronte del massimo e libero accesso alla scuola
aperta anche alle donne, condizionando quindi la selezione qualitativa a un
lungo periodo di prova. Accanto all’insegnamento pubblico il Colò esercitò pure
quello privato, esteso soprattutto alle famiglie della nobiltà trentina: il suo
metodo, molto pragmatico, prevedeva la considerazione diretta del repertorio
programmato dal Teatro Mazzurana, come dimostra la documentazione relativa al
suo allievo Bortolo Cloz.
Con la scomparsa di Giancarlo Colò nel 1844 si chiudeva anche un periodo
culturale preciso per la musica trentina: da quella data i maestri di musica
non si formeranno più a Nord, nelle terre di cultura tedesca, ma a Sud, nel
paese del melodramma, contribuendo a diffondere una cultura prevalentemente
italiana.
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