sabato 30 novembre 2013
Lapide del padre di Cesare Battisti nel cimitero di Pieve
Spaccato di storia nel cimitero di Pieve
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Lapide del padre del poeta Carlo Prati nel cimitero di Pieve
Spaccato di storia nel cimitero di Pieve
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Rifugio Nino Pernici
un pò di storia;
Rifugio Nino Pernici
da;Sulle tracce della storia- History
Rifugio Nino Pernici
da;Sulle tracce della storia- History
La strada romana.
L'antica strada che passa per la Bocca di Trat è una delle più importanti dal
punto di vista storico del Trentino. Fu luogo di transito dalla preistoria
all'epoca romana, a quella medioevale fino alle spedizioni francesi del Vendome
nel 1703 e di Garibaldi nel 1866. Non esisteva infatti il collegamento stradale
tra la val di Ledro Riva del Garda e le Giudicarie e l'unico modo per spostarsi
in questi settori era scavalcare queste montagne. Sui versanti che da Bocca di
Trat scendono verso la valle del Sarca vi è anche l'importante insediamento
retico-romano di san Martino, forse unico per estensione nella nostra
provincia.
Il trasporto dei materiali per la costruzione del rifugio.
(cosa non facile da realizzarsi all'epoca) Venne effettuato da un contingente
di alpini del battaglione Edolo di stanza a Riva nel dopoguerra, comandato dal
capitano Gennaro Sora.
Questo valoroso ufficiale si era distinto nel conflitto 15/18 combattendo nel
settore dell'Adamello e giustificò il trasporto (portato a termine con l'aiuto
dei vecchi gloriosi muli) di fronte ai suoi superiori facendolo passare come
marcia di addestramento. Sora farà poi parte della spedizione di soccorso al
Polo Nord in favore dei superstiti del dirigibile Italia colà precipitato e
comandato dal famoso generale Nobile (spedizione italiana di esplorazione al
Polo Nord).
Il Rocol
La Bocca di Trat nelle immediate vicinanze del rifugio è da sempre una zona di
passaggio per le migliaia di uccelli migratori che attraversano i nostri cieli.
In passato la zona adiacente la bocca era disseminata di reti per l'uccellagione
( dette in dialetto “ rocoi “) nelle quali rimanevano imprigionati gli
sfortunati volatili. ( Ne furono catturati oltre cinquemila in un solo giorno).
La targa del capitano Riccabona.
Nel maggio del 2000 faceva freddo e le nuvole basse coprivano tutta la valle di
Concei. C'èra ancora qualche chiazza di neve e di sicuro non era la giornata
migliore per girovagare tra le caverne e trincee della Grande Guerra. Ma
bisognava andare a vedere questa lapide dedicata a un certo capitano austriaco
dal curioso nome italiano, ritrovata in una caverna sotto la Mazza di Pichea…
Mauro Zattera, appassionato storico di Riva del Garda, in compagnia di Armando
Santi e Giorgio Segalla si reca colà e prende visione, filma e fotografa questa
targa: dopo mesi di indagine, partendo dal nome riportato sulla stessa
(hauptmann Riccabona, capitano Riccabona) riesce a risalire all'identità di
questo personaggio ancora sconosciuto. Ludwig Riccabona, capitano dei
Kaiserjaeger, comandante la 9° compagnia, I° reggimento, di stanza tra la Bocca
di Trat e il Tofino. Chiedendo qua e là informandosi senza sosta Zattera scopre
che i Riccabona provenivano dalla valle di Fiemme. Tante telefonate, visite in
valle ed ecco finalmente un numero di telefono. Dall'altra parte risponde Dietling
Riccabona, nipote del capitano. Il giorno dopo Frau Riccabona mostra ai suoi
ospiti un centinaio di fotografie scattate dal nonno “ su una certa Bocca di
Trat nel 1916 ”. Sono scatti unici e di grande valore storico e umano. Un
grazie a chi ha reso possibile questo ritrovamento.
Italia - Austria
un pò di storia ;
Pur essendo alleata dell'Italia, l'Austria aveva da tempo iniziato a
fortificare una lunga linea montana. Anche il settore di Riva del Garda, campo
trincerato, non fu da meno, e strategica divenne pure la Val di Ledro per il
suo sbocco sulle Giudicarie. I lavori difensivi vennero concentrati su una
serie di monti dominanti: il Nozzolo, il Cadria, monte Vies in Val di Ledro,
mentre tutte le montagne Rivane furono riempite di bunker, caverne,
appostamenti per artiglieria e mitragliatrici. Da parte italiana v'era ben poco
oltre ai sentieri per la caccia ai contrabbandieri (la Finanza aveva infatti
una caserma al passo Nota); trinceramenti, strade, baracche, villaggi militari
vennero costruiti a guerra in corso. A Peschiera si insediò il Comando di
settore di cui fu il primo capo il colonnello Maglietta del Genio, Sirmione fu
sede di un Comando della Regia Marina, affidato al comandante Grixoni, che
sequestrò i battelli in servizio civile sul lago, armandoli poi con cannoncini
e qualche mitragliatrice. Per risparmiare mezzi e uomini, gli austriaci
decisero di accorciare il fronte disponendo le truppe su posizioni
"vantaggiosamente difendibili", ritirandosi cioè molto più a nord del
confine di stato, dislocandosi su una linea alla sinistra della Val di Ledro
che andava dal monte Palone al Nozzolo, al Cadria (mt.2254) al Laroda, alla
Gavardina, scendeva alla Bocca del Trat e, attraversando la Rocchetta, si
congiungeva alla piazzaforte di Riva del Garda. Fu lasciata una testa di ponte
sulla destra, il Nodice sopra il paese di Pregasina. Di fronte gli italiani del
III° Corpo d'Armata comandato dal Tenente Generale Vittorio di Camerana, con la
5° e 6° divisione. Dichiarata la guerra, le truppe italiane iniziarono un lento
avvicinamento occupando i passi e la linea di montagne alla destra della Val di
Ledro sino al lago di Garda. Le prime scaramucce si ebbero solamente in giugno,
con alcuni morti e feriti da entrambe le parti. La prima incursione aerea
italiana avvenne il 23 luglio 1915, quando due idroplani volarono su Riva
sganciando 18 granate sulla stazione ferroviaria. In luglio il battaglione
Alpini Vestone, pur senza armamento pesante, coadiuvato da reparti della
Guardia di Finanza, attaccò la roccaforte del Nodice senza alcun risultato.
L'azione fu ritentata a metà ottobre con l'aiuto dei cannoni del monte Baldo,
che sottoposero a bombardamento la cima per due giorni interi. Il 15 fu tentato
l'assalto, coronato da successo solo il giorno 22 ottobre; come conseguenza fu
aperta la strada per scendere a Molina, Legos, Mezzolago, sulle sponde del lago
di Ledro, mentre gli austriaci si ritirarono definitivamente sulle cime a
sinistra del solco della Val di Ledro. Il primo inverno di guerra 1915-1916
arrivò inaspettato, le azioni belliche calarono di intensità perché lo sforzo
fu diretto a garantire condizioni di vita accettabili ai soldati. La 6°
divisione italiana schierava la Brigata Sicilia, due reggimenti alpini il
Vestone e Val Chiese, il 7° reggimento ed il XLV° battaglione Bersaglieri,
complessivamente erano in linea 106 cannoni. Nel 1916, alla ripresa primaverile
delle ostilità, con colpi di mano della fanteria furono conquistate alcune
linee sulla sinistra della Val di Ledro e sulla Rocchetta di Riva; caddero in
mano italiana le trincee del bastione di San Giovanni, Grotta Dazi, fu
attaccato il Cadria e conquistato il vicino monte Vies. Per gli abitanti dei
numerosi paesi e contrade attorno al lago, il 1916 fu un anno piuttosto triste,
perché molti dovettero essere evacuati, gli italiani verso Verona, gli
austriaci verso Bolzano. La Strafexpedition (15 maggio-18 giugno 1916) non
cambiò di molto la situazione militare nella zona, i battelli armati che
controllavano il lago furono fermati nel porto di Salò e uomini ed armi inviati
sul monte Altissimo di Nago, catena del Baldo. Le operazioni belliche furono
affidate ai cannoni dei rispettivi eserciti, d'altro canto il piano generale di
guerra dell'esercito italiano prevedeva per il Trentino una azione difensiva,
concedendo solo misure atte a migliorare tale difesa. Tuttavia anche nel
settore Ledro-Riva non mancarono tra i soldati italiani casi di simulazione di
malattie, disobbedienza, insubordinazione e diserzione; il 26 maggio 1917 a
passo Nota fu insediato un tribunale militare di guerra per processare una
cinquantina di militari rei di "non aver fatto resistenza". Per tre
mesi furono sospese le licenze per la Sicilia e la Sardegna: troppi erano i
disertori. In seguito alla disfatta di Caporetto del 24 ottobre 1917, le truppe
italiane furono potenziate con il 17° reparto d'assalto, altre batterie del 16°
artiglieria campale oltre a reparti mitragliatrici e genio zappatori, perché
era forte il timore di un attacco austriaco verso la pianura veronese.
Aumentarono le protezioni in roccia, caverne per la truppa e piazzole dei
cannoni, il reggimento alpini monte Adamello fu mandato in Val di Ledro di
rinforzo, il 234° reggimento della Brigata Lario fino alla fine dell'anno scavò
trincee e camminamenti nel settore di passo Nota. Si aggravò ancora l'economia
dei paesi vicini al fronte, Limone, già sfollata a settembre del 1916, venne
presidiata dai carabinieri. Purtroppo il continuo transito di truppe provocò
molti casi di manomissioni, appartamenti e ville isolate vennero depredate del
mobilio, altre case requisite dal Comando militare risultarono danneggiate dai
soldati in esse alloggiati. Incursioni aeree quasi giornaliere bloccarono anche
i contadini che avevano il permesso di recarsi nei campi, le colture di olivi e
agrumi furono di fatto abbandonate. A pesare su una situazione così precaria si
aggiunse l'invio di profughi del Veneto invaso: a Tremosine ne arrivarono circa
200. Furono chiuse le scuole perché i bambini più piccoli, sfollati lontano,
non potevano frequentare le lezioni. Nel 1918, con le truppe italiane impegnate
sul Grappa e Piave, il settore fu potenziato ancora con le divisioni 21° e 22°
schierate in linea e la 20° di riserva. Sostanzialmente la linea del fronte
rimase però quella della primavera del 1916. Il 24 ottobre 1918, con la
battaglia di Vittorio Veneto in corso, notizie rassicuranti sulla fine della
guerra si sparsero sul Lago di Garda; da Riva un giovane animoso, nottetempo,
fuggì a Limone con una piccola barca per sollecitare uno sbarco italiano: non
fu creduto ed arrestato. Finalmente il 3 novembre un M.A.S. attraccò nel porto
di Riva, sbarcando una pattuglia di 22 soldati armati di mitragliatrici; trovò
la cittadina quasi sgombra da truppe austriache ormai in ritirata verso Trento
e Bolzano. La Grande Guerra era così terminata anche in quei luoghi.
Paolo Antolini
Il cane Caffaro
un pò di storia e che storia;
Caffaro è stato un cane al servizio del Regio esercito italiano nel corso della
terza guerra di indipendenza. Incorporato nel Corpo Volontari Italiani di
Giuseppe Garibaldi, 2º Reggimento Volontari Italiani, morì, secondo lo
scrittore Giuseppe Cesare Abba, a Pieve di Ledro nel luglio del 1866 e fu
protagonista di un episodio della guerra durante la campagna garibaldina in
Trentino.
Il cane, di razza bulldog, di proprietà del sottotenente Giulio Grossi di
Venezia della 2ª Compagnia del capitano Tommaso Marani incorporata nel 2º
Reggimento Volontari Italiani, il 25 giugno 1866 prese parte alla nota
battaglia di Ponte Caffaro tra garibaldini e austriaci, in tale occasione fu
ribattezzato "Caffaro" dal nome del piccolo centro bresciano dove si
svolse lo scontro.
Il volontario garibaldino Vigilio Covi di Trento protagonista dello scontro del
Caffaro. Faceva parte della 2ª cp, la stessa ove era presente il cane Caffaro
Difatti, Caffaro s'intromise nel celebre duello sorto fra il tenente Giovanni
Battista Cella dei bersaglieri volontari e il capitano boemo Rudolf Ruzicka
della 12ª Compagnia del Reggimento "Principe di Sassonia" che si
affrontarono sul ponte in un vigoroso corpo a corpo, alternato da colpi di
sciabola, magistralmente descritto nei racconti dello scrittore garibaldino
Giuseppe Cesare Abba.
Rimasti entrambi feriti, il capitano Ruzicka, nonostante fosse difeso dal solo
trombettiere Lusk, poiché tutta la sua truppa si era ritirata più in là a
debita distanza, fu colpito dapprima da una baionettata alle natiche infertagli
dal volontario Giovanni Trovaioni detto il Rosso di Trento, soldato della 2ª
compagnia di Tommaso Marani, poi da una morsicatura del cane bulldog Caffaro al
seguito delle camicie rosse e alla fine, malconcio, dovette arrendersi
prigioniero. Caffaro nella mischia addentò pure i polpacci del tenente
austriaco Suchonel, che si difese a sciabolate, ferendolo.
Dopo la vittoria garibaldina fu decorato[con che onorificenza?] e seguì fedele
il suo padrone per tutta la campagna fino a Magasa e in seguito nella battaglia
di Pieve di Ledro del 18 luglio, ove il Grossi fu ucciso in un intrepido
assalto contro le linee austriache. Caffaro, affranto dal dolore, sostò
pietosamente per due giorni sulla sua tomba, guaendo in continuazione, finché
non fu preso in consegna dal capitano Marani che lo tenne con sé.
Invece secondo lo storico trentino Ottone Brentari, a guerra finita, il Marani
lo affidò a Venezia al padre dell'eroico ufficiale, gondoliere dell'albergo
Danieli, ma ben presto Caffaro morì, di crepacuore. Un'altra versione,
sostenuta anche da Giuseppe Cesare Abba, affermava invece che l'intrepido cane
morì a Pieve di Ledro, affranto dal dolore, sulla tomba del proprio padrone,
che non volle mai abbandonare.
Bibliografia
Il capitano Ergisto Bezzi indiscusso protagonista del combattimento di Ponte
Caffaro e della campagna del 1866
Francesco Martini Crotti, La Campagna dei volontari nel 1866, Cremona, Tip.
Fezzi, 1910, pag. 20.
Ottone Brentari, Il secondo battaglione Bersaglieri Volontari di Garibaldi
nella campagna del 1866, Milano 1908, pag. 59.
Giuseppe Cesare Abba, Scritti garibaldini, Volume III, Morcellana, Brescia
1986, pag. 80.
BEZZECCA, UN PO' DI STORIA
un po' di storia:
BEZZECCA
Enciclopedia Italiana (1930)
di Li. B., C. Ce.
BEZZECCA (A. T., 24-25-26). - Comune della provincia di Trento. Il centro capoluogo è situato alla confluenza della Valle dei Concei con la Valle di Ledro, a 698 m. s. m., in un bacino coperto di materiali morenici. È costituito da un aggruppamento di case, tutte nuove, bianche e simmetriche, costruite sulle rovine del vecchio villaggio distrutto completamente durante la guerra. Il movimento demografico fu molto lento; nel decennio 1900-1910 ci fu addirittura una notevole diminuzione di popolazione: 522 ab. nel 1900, 478 ab. nel 1910, 534 ab. nel 1921. Con l'aggregazione al comune di Bezzecca dei vicini comuni di Enguiso, Lenzumo, Locca, Pieve di Ledro, la popolazione di B. è salita a 1508 abitanti. La popolazione è per la massima parte agricola e vive dei prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento. Da ricordarsi è la fabbrica di prodotti magnesiaci a occidente del villaggio, nella valle dei Molini. Il territorio comunale è per gran parte montuoso e coperto di bei boschi. Il fondo valle invece è verde di prati e di frutteti, frammischiati a campi di cereali e di patate. Bezzecca è località famosa nella storia del Risorgimento, oltre che per la battaglia (v. oltre), per l'"Obbedisco" pronunciatovi da Garibaldi il 9 agosto di quello stesso anno. Nel modesto cimitero del vicino colle di S. Stefano riposano insieme i resti dei numerosi garibaldini quivi caduti nel 1866 e le salme di molti eroi uccisi in questa zona nell'ultima guerra. Una buona carrozzabile unisce Bezzecca a Riva.
La battaglia di Bezzecca (21 luglio 1866). - Le alture che dominano il paese di Bezzecca erano state occupate tra il 19 e il 20 maggio da una colonna austriaca, composta di cacciatori "Imperatore" e del reggimento "Sassonia", con 4 pezzi, in tutto 1900 uomini, con l'ordine di scendere da Lenzumo su Bezzecca. Nella stessa giornata del 20 il generale Haug, comandante una brigata di volontarî di Garibaldi, era giunto in quello stesso paese con la sua avanguardia (1° battaglione del 5° reggimento). Avuta notizia della presenza del nemico, chiamò subito gli altri tre battaglioni dello stesso reggimento e quattro compagnie del 7°, facendo, nella sera, occupare posizione difensive a nord del paese.
Se non che, il maggiore Martinelli, comandante il 4° battaglione, ritenendosi troppo dominato e volendo farsi un'idea più esatta delle forze austriache che aveva di fronte, si spinse nella notte fino a Monte Saval, ma appena spuntata l'alba fu accolto da così violento fuoco di fucileria che, dopo gravi perdite, dovette ritirarsi, inseguito dai cacciatori austriaci, già padroni di Locca.
Il colonnello Chiassi, spiegato il suo reggimento, assunse allora la direzione della prima linea, occupò il cimitero di Locca e resistette per oltre due ore nella speranza di essere coadiuvato dal 9° reggimento (Menotti Garibaldi), chiamato d'urgenza per attaccare gli Austriaci sulla loro sinistra. A questa tenace difesa concorreva inoltre eroicamente la batteria Oliveri. Stremato di forze, di fronte al poderoso attacco nemico, il 5° volontarî, perduto il suo comandante, colpito a morte da una palla nemica, era costretto esso pure a ripiegare sotto la protezione dei battaglioni del 9° e del battaglione Tanara del 6° reggimento, allora sopraggiunti. Alle ore 10 Bezzecca era in potere degli Austriaci.
Ripresa l'offensiva, Garibaldi col 9° reggimento, con alcune compagnie del 2°, e particolarmente con l'aiuto della brigata di artiglieria del maggiore Dogliotti, cominciò a fulminare il paese, mentre una colonna d'attacco preceduta dalle guide al comando del maggiore Canzio, irrompeva alla baionetta in Bezzecca. Gli Austriaci sorpresi dalla violenza di questo contrattacco abbandonavano il paese, e inseguiti fino a Locca riprendevano le loro posizioni a Lenzumo.
Le perdite italiane furono di 121 morti, fra cui 6 ufficiali, 451 feriti e 1070 prigionieri; quelle degli Austriaci di 25 morti, 82 feriti e un centinaio di prigionieri.
LE NOSTRE STRADE: Giacomo Cis.
le nostre strade:
GIACOMO CIS
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GIACOMO CIS
NOBILE E GENIALE TEMPRA DI COSTRUTTORE
Nei tempi remoti, laboriosi abitanti di regioni ricche di fertili terreni
sentirono presto il bisogno di dedicare e riservare una «striscia di terreno»
ai traffici, parte per il loro paese e parte per luoghi lontani, con cui
dovevano attuare scambi di beni indispensabili, soprattutto per il lavoro ed il
sostentamento quotidiano. Nacquero così nel mondo le prime «vie», formate in
modo primitivo dal passaggio, dal calpestio dell'uomo e degli animali, e, grado
grado, aperte e battute fino a ridurle sempre più e meglio praticabili.
In progresso di tempo, tali vie furono cosparse di frammenti petrosi (la «lapidibus
via») formandosi, in superficie, uno strato di materiale arido, atto ad
impedire la 'formazione del fango e di profonde ormaie; ed ecco la «strada'»
(la «via strata» dei Romani, dal verbo sterno, stravi, stratum= stendere>,
munita, in seguito, di selciatone (il moderno «sottofondo», e dì lastricato
(stratura), a seconda delle possibilità e delle crescenti esigenze del
transito, che,per molti anni, seguì sui terreni meno accidentati, lungo i corsi
d'acqua fino al loro sfocio nel mare, dove si poteva ricorrere all'ausilio
della navigazione, e, solo più tardi, attraverso i valichi battuti dalle prime
peregrinazioni di popoli. Vera presa di possesso della crosta terrestre,
impronta magnifica del crescente regno umano, antichissimi commoventi segni
come scrisse nel 1941 Giovanni Papini delle riforme che l'uomo impone alla
Terra>.
Poco consistenti furono le strade dei Cartaginesi e dei Fenici, laddove i
Romani seppero costruire per primi, estesi, perfetti tronchi stradali
lastricati, con scambi per i pedoni e rotaie, (orme che, com'è bene ricordare,
suggerirono, verso il 1830, l'idea delle odierne strade car-rate); rotaie
dovute al bisogno di offrire una sicura guida alle ruote dei carri. La prima
strada magistralmente costruita è la «Via Appia> di Claudio Appio(a. 213 a.
C.), da Roma a Capua, larga 8 m., cui seguì quella degli Appennini, mentre al
tempo di Cesare, Roma era stata ormai congiunta con tutte le Capitali
dell'Italia Antica e con i principali centri delle provincie, superando anche
vari valichi alpini. Più tardi tutte queste strade furono man mano inghiaiate e
dall'anno 100 a. C. selciate o lastricate, mentre sì cominciò a disporre lungo
il loro percorso posti di scambio per gli attiragli, muniti anche di cavalli di
rinforzo e di carri, dato che le prime strade dei Romani, ricche di lunghi
rettilinei, non temevano nemmeno le pendenze oltre il cento per cento, contando
certamente sulla maggior robustezza d'uomini e d'animali di quei tempi
Fin qui i primi grandi Maestri.
Vediamo ora come si sviluppò, dopo le abbondanti impronte lasciateci dai
Romani, la rete stradale del Trentino e più specialmente quella delle zone
atlorno al Benaco, dove, poco discosto da Riva, a Bezzecca, il 12 giugno 1782
nacque Giacomo Cis da Giacomo ed Elisabetta Santolini Moret di Tiarno dì Sotto,
sposatisi il 10 febbraio 1777.
Egli usci da una dette tante tipiche famiglie tridentine, in cui nessuna
distrazione, e nemmeno il forte lavoro esteso dalle stelle del mattino a quelle
della sera, poteva disto-gliere i genitori da quella che era la loro principale
missione: I'educaziòne severa quanto affettuosa della prole. E molti furono i
casi in cui questa educazione era addirittura innata nella stirpe.
Da esperto mulattiere e carbonaio quale era stato già il padre suo, Giacomo,
fin dalla giovinezza ottimo autodidatta, assurse ben presto, per intrjnseche
qualità d'animo e pronta in. intelligenza, a nobile figura di vero e proprio
Patrizio. Ciò risulta lampante a chi guardi la chiara e caratteristica sua
effige.
Fu così che Giacomo Cis potè aspirare alla mano della Contessina Gioseffa
Pompeiati di Trento e sposarla il 29 settembre 1807, a 25 anni di età, venendo
poi presto a stabilirsi a Riva, dove mori il 3 gennaio 1851, dopo la morte
della moglie, avvenuta già il 13 agosto 1849.
Egli godette la stima delle personalità più spiccate del tempo suo in tutto il
Trentino, dalle quali fu tenuto in grande onore. Lo dimostrano appieno gli
scritti che più innanzi si riproducono.
Ai tempi dei Romani nessuno ardì incidere una benché modesta strada lungo le
im. pervie pareti rocciose fra Riva e lo sfocio del T. Ponale nel lago di
Garda. (Notabene: allora si sarebbe dovuto lavorare con l'ausilio del fuoco e
dello scalpello, non esistendo ancora gli esplosivi). Si mirò, invece, ad
evitare l'ostacolo col percorso molto più lungo di Riva Campi -Bocca (o Passo)
di Trat - Vai Sorda - VaI Concei1 fino all'abitato di Lenzumo, con prosecuzione,
per la Bocchetta alle Gombie, verso Val Molini - Plagna - Castello di Tiarno di
Sotto. Bocca di Giumella - Por, nelle Giudicarie Inferiori, - Condino e Creto,
attraverso i Passi di Rango e di Giovo.
Altra via: da Tremosine al passo di Nota, con discesa a Pur - Legos - Molina -
Barcesimo - Passo Giumella di Biacesa - Campi - Riva; ma si trattava dì
strette e malagevoli mulattiere, a forti pendenze.
Non si hanno notizie attendibili sulle vie di comunicazione esistenti nel Medio
Evo; si sa solo che, ancor prima del dominio Scaligero (XIV secolo), esistevano
già delle mulat5 tiere fra i vari villaggi, e che gli Scaligeri avevano fatto
ampliare il porto del Ponale per rendere più comodo e sicuro l'accesso ai lago
dalla detta Valle.
Della strada romana Riva Bocca di Trat - Tiarno - Bocca Giumella - Por si erano
valsi i Veneziani nel 1430 per far giungere armi e vettovaglie a Brescia.
lì Capitano visconteo Nicolò Piccinino, forte di 400 tanti e di 100 cavalli,
tentò di impedirlo, ma fu sconfitto dal Condottiero veneziano R. da
Sanseverino, che disponeva di 400 fanti e 200 cavalli. 1 Milanesi trovarono la
morte in una valletta presso la Rocca di Lenzumo, laterale alla Vai Concei la
quale conservò poi il nome dl <VaI dei Morti>.
Il dominio di Venezia dùrò ivi fino al 1509 e valse a migliorare lé condizioni
della strada della Val di Ledro e del Porto alla foce del T. Ponale, nonché a
far sorgere, lungo il Ponale ed in qualche villaggio della Valle, ferriere e
fabbriche di cappelli, di cui quella di Tiarno di Sotto si mantiene ancora oggi
, ma quale fabbrìca, soprattutto, di pantofole.
Nel 1703, durante la guerra di successione spagnola, i Francesi entrarono nella
VaI di Ledro per la via romana Passo di Notta - Legos. Questa stessa via fu
pure utilizzata dai Francesi nel 1796, durante la guerra napoleonica.
Negli ultimi due secoli, invece, fu posto mano, nel 1746, alla costruzione d'una
nuova via mulattiera lungo la destra del Ponale, dal Porto. Ponale (primo
importante golfo del Garda a sud--ovest di Riva), fino al ponte di <Porcil»
sotto Biacesa, continuata in seguito lungo tutta la Valle di Ledro. Tratti di
questa mulattiera, furono poi grado grado ricostruiti con le caratteristiche
delle <strade carrozzabili>, e precisamente: nel 1837-1838, il tratto
Fonte di Porcil - Prè - Molina di Ledro; nel 1839, il tratto Molina - Pieve di
Ledro.; negli anni 1840 1842, il tronco Pieve 41 Ledro - Tiarno dì Sopra. Nel
1843, da Tiarno di Sopra al confine con Storo; nel 1846 fu aperta la via detta
dell'Ampola, lungo il torrente Palvico; affluente del Chiese, oltre lo
spartiacque fra i laghi del Garda e d'Idro, da Tiarno di Sopra sino a Storo e Cà
Rossa, oltre il fiume Chiese, sulla Tione - Caffaro; nel 1847 la mulattiera di
VaI Concei, da Bezzecca a Lenzumo. Nel 1849 fu collocato il cippo di confine
fra Ledro e Storo in VaI d'Ampola, e quindi fra i distretti di Riva e Tione.
Nel 1881 fu resa carrozzabile la tratta Pieve di Ledro - Locca (primo villaggio
che s’ incontra entrando da Bezzecca in VaI di Concei); nel 1894 fu rettificato
l'andamento della strada di VaI di Ledro presso Mezzolago, trasponendolo sulla
sponda del lago di Ledro.
Nel 1848 i Corpi Franchi vi giunsero dalla VaI d'Ampola e dal Passo di Notta.
Il 18 luglio 1806 i Garibaldini entrarono nella Valle di Ledro, parteattraverso
il Passo di Notta fino a Legos e Pieve, mentre, il 20 luglio susseguente, la
rimanente parte del Corpo di spedizione, con alla testa Garibaldi stesso,
v'entrò per la Valle d'Ampola, dopo ridotto al silenzio il forte d'Ampola dai
famosi cannoni del maggiore Dogliotti trascinati, con la guida e l'aiuto di
vari patrioti di Storo, fin sul Doss6 ché sovrasta la valle poco più a nord-est
di quel Borgo. E furono i cennati cannoni del celebre puntatore maggiore
Dogliotti, che resero possibile la vittoria di Bezzecca del 21 luglio 1806.
Nel fervore dei precitati svariati allacciamenti stradali, cui le laboriose
popolazioni della Valle di Ledro si sentivano spinte ormai da impellenti
bisogni, è ben logico che, nella mente chiara e lungimirante di Giaco,no Cis,
maturasse la concezione del progetto, (molto arduo per quel tempo, in cui
mancavano affatto i contributi della cessata monarchia Austo-Ungarica, che,
anche per la strada delle Giudicarie, s’era fatto pagare perfino la polvere
pirica, di cui teneva il monopolio), della apertura d’una comunicazione
diretta, la più breve possibile, fra la Val di Ledro ed il Garda, con mèta la
città di Riva.
Ed é pur logico che Giacomo Cis, ch'ebbe l'animo, il coraggio e lo spirito
d'iniziativa del vero <precursore>, sentisse vivissimo il desiderio di
allacciare direttamente la diletta sua Valle con la piana del Basso Sarca, del
quale gli erano pure note le bellezze naturali; ma soprattutto con Riva, che il
poeta Giovanni Prati aveva già appellata
"Città gagliarda, Città cortese
"Perla dell'Italo nostro Paese"!
Senza dubbio, Giacomo Cis, nell'ideare tale allacciamento, affrontando aIl'uopo
il ripido, scosceso e spesso strapiombante pendio roccioso del Monte Oro,
immaginava già, e pregustava quegli imponenti e superbi panorami sul <Lago
dell'eterna primavera», cui il Creatore profuse incomparabili bellezze naturali
sui monti e sui pittoreschi centri abitati da cui è circondato. Tutti sappiamo
che il tronco di strada più cercato e 'percorso a piedi dagli stranieri >2
con grande sopportazione delle noie della polvere dei tempi andati> è
proprio quello del Ponale.
Giacomo Cis, dopo matura preparazione, predisposto tutto fin dal 1847, si
accinse di nuovo verso il 1849, dopo spentasi la profonda e generale eco delle
rivoluzioni scoppiate a Parigi ed a Vienna nel 1848, alla realizzazione del
progetto da lui ideato e' fatto redigere e, superando difficoltà d'ogni sorta,
gli era già quasi riuscito di aprire al transito nel 1851 la nuova arteria, cui
nessuno prima di lui aveva pensato, ritenendo inattaccabili le pareti del Monte
Oro e della Rocchetta, quando il 3 gennaio dei detto anno lo raggiunse improvvisamente
la morte.
Con i mezzi allora a sua disposizione Giacomo Cis non aveva potuto certamente
ripromettersi un modello di costruzione, anche in fatto d'andamento
planimetrico e di larghezza costante, giacchè, per evitare spese enormi, il suo
progettista dovette spesso ricorrere allo sfruttamento di tutte le possibilità
di economie offerte, tratto per tratto, dalla varia configurazione delle'
pareti rocciose, nei 3350 m. circa di percorso, che intercedono fra il Ponale e
Riva, e inoltre, nei tratti più scabrosi, ad una riduzione di larghezza anche
fino a poco più di 3 metri, (come è pure accaduto lungo la Trento - Sarche -
'Tione), nonchè a curve"di raggio piuttosto piccolo.
Corretto ne fu, invece, fin d'allora, l'andamento altimetrico con pendenze
moderate.
Tutto sommato si può ben asserire che Giacomo Cis, dati i mezzi di 'trasportò
del suo tempo, con la sua fortezza d'animo e perseveranza fornì al'la sua Valle
uno sbocco àdeguato ai suoi reali bisogni, e, al paese, un tronco di strada
carrozzabile di prim'ordine sotto ogni riguardo, ma specie dal lato turistico e
panoramico, per cui gli va riconosciuto grande imperituro merito.
A lui si deve poi la più breve comunicazione d'allora fra Trento e Brescia. Fa
d'uopo accennare qui a coloro che furono gli interpreti del pensiero cd i
colla-boratori affezionati di Giacomo Cis.
Quali progettisti: l'i. r. Ingegnere aggiunto Giovanni Piva di Pergine1 per la
Bezzecca Lenzumo, in Val Concei, (nel 1847) e per la strada del Ponale, (184Q7t
1850» il Perito Buttarini, per la strada dell'Ampola (1846>; Il Perito Carlo
Tonini per la Pieve Locca (1881>; il Geometra Martino Ambrogio Bondi, per la
Prè - Biacesa (1843 - 1847); il Geometra Giuseppe De Carli per la rettifica di
Mezzolago (1894 - 1896>.
Alle espropriazioni per la strada del Ponale provvidero il Geom. Martino
Ambrogio Bondi ed il Perito Carlo Tonini nel 1851.
Fra gli esecutori dei lavori di costruzione meritano d'e½.'sete ricordati
Giovanni Maria Pialorsi di Vestone, per le strade dell'Ampola (1846> e del
Ponale (1849 - 1851'); Giovanni Nicolussi di Luserna per le strade Pré e
Biacesa (1843 - 1&47) e Bezzecca - Lenzumo (1847); Antonio Nicolussi di
Luserna per la Pieve - Locca (1881).
Vicende delta Strada del Ponale e delle Valli di Ledro
e dell'Ampola (Riva – Storo), dopo la costruzione
La lunghezza totale di essa è di 33 chilometri, di cui i primi 3,50, da Riva
fino alla valle del Ponale, costituiscono la parte maggiore e di più difficile
costruzione.
L'andamento altimetrico, come si è già notato, è regolare, con pendenze della
livelletta varianti fra il 4,50 ed 'il 6,00 per cento, però con prevalenza del
4,50. L'andamento planimetrico, com'è naturale, é sempre piuttosto tortuoso,
poichè l'originario tracciato ha dovuto seguire la configurazione delle pareti
rocciose del Monte Oro e di quello della sua propaggine, (Rocchetta), con
rientranze nei numerosi valloncelli e specie nel vallone del Torrente Sperone
a 1950 m. da Riva.
Per attentenuarne nei limiti del possibile, la tortuosità, il progettista di Giacomo
Cis previde originariamente la perforazione di 3 gallerie, delle dimensioni
massime di metri 5,00 x 5,00 circa e delle lunghezze rispettivamente di m. 31;
70; e 100, che, oggidì, dopo i nuovi lavori, recano, progredendo da Riva, i
numeri 2, 3 e 5.
Il piano viabile era a semplice ciottolata; il bordo verso il lago, difeso da
comuni muri di sostegno e di parapetto, ed in qualche punto da ringhiere di
legno; verso monte: difeso, qua e là, da muri di controriva.
Di manufatti importanti, oltre ai consueti tombini per lo scarico delle acque
raccolte glientisi lungo il bordo di monte,. non vi era che il ponte di legno
sul Torrente Sperone aI chilometro 1,950.
L'intera strada del Ponale e della Valle di Ledro fu poi mantenuta a cura degli
interessati Comuni, e dapprima. a datare dal 1833, per mezzo d'un «Comitato
stradaleN, a capo del quale; per circa 18 anni, fino alla sua morte, fu Giacomo
Cis.
In seguito la manutenzione di questa strada, com'era stato fino alicra di
quella del l'Ampola verso Storo, 4" curata direttamente dai rispettivi
Comuni, e, negli ultimi anni prima del 1913, con un modesto contributo annuò
alle relative spese, concesso dall'Austria, ed esteso pure ad altre strade
consortili, come per esempio quella della Rendena (divenuta statale nel 1908) e
la Pinzolo - Campiglio.
Nel 1891 vi transitarono le prime automobili private, laddove, nel 1911, vi
furono isti. tuite le corse regolari delle automessaggerie postali.
La memorabile alluvione del 6 novembre 1906 causò gravissimi danni alla Riva -
Storo, ma più specialmente al tronco dell'Ampola, di cui un tratto di oltre 3
Km., con i due ponti «Stigolo> ed «alla Fortezza d'Ampola», andò distrutto
completamente. Il corpo stradale, con i detti due ponti, fu ripristinato negli
anni 1908 1912, parte a cura dell'Ufficio Tecnico Provinciale ed in gran parte
dagli Uffici Edili statali già esistiti a Tione e Rovereto.
Dopo la presa di possesso della piana di Storo da parte dell'esercito italiano
nel 1915 la Riva - Storo iti mantenuta, per la durata della prima guerra
mondiale, parte dall'Esercito medesimo, finci circa a Tiarno di Sopra, e pel
rimanente dall'esercito austriaco.
Dopo la redenzione (fine 1918) l'intera arteria fu presa in consegna e
mantenuta, quale statale, dalla Sezione LL. PP. dei Governatori militare e
civile di Trento, e ciò fin verso il 1924, quando, in forza dell'emanazione del
D. L. 15 novembre 1923 n. 2506, fu classificata nella seconda classe
(disposizione confermata dal D. L .23 ottobre 1924 n. 1994), ed assunta così
dall' Amministrazione Provinciale nel novero delle strade provinciali.
Nel breve periodo, durante il quale restò affidata alla cennata Sezicre LL. PP.
ed indi al Genio Civile, neo istituito Ufficio di Trento, vi furono promossi i
consueti lavori di manutenzione, intetisificativi nel settembre - ottobre 1921,
in attesa del passaggio dei Sovrani; fu acquistato e trasformato in
casa-cantoniera il fortino all'imbocco dell'allora prima galleria e, in seguito
al parziale franamento d'un tratto di piano stradale, insistente in 'parte su
un aggetto della parete rocciosa> fu perforata una nuova galleria, allora la
quarta, della lunghezza di 160 m.; rna, per la scarsezza dei mezzi a
disposizione, della sezione ridotta di m. 4.50 x 4,50 (progressiva Km. 2.250);
inoltre vi furono eseguiti pochi saltuari allargamenti mercè demolizione di
rocce, e qualch restauro di murature, con una spesa globale di circa L.500,000
(valuta 1922).
Ma le ulteriori maggor e più importanti opere di sistemazione e di
conservazione della strada di Giacomo Cis (Ponale) sono dovute alla passione ed
alla solerzia dell' Ufficio Tecnico Provinciale cd in particolar 'modo agli
ingegneri Franch, de Prez, Zadra ed al defunto ing. Lugnani, i quali, dal 1924
fino ad oggi, hanno completamente sistemato -con ingenti scavi di roccia, muri
di sostegno e di controriva e "di parapetto di vari tipi, anche su
arco-morti, nonchè con massicciate e cunette, secondo le migliori
caratteristiche di una moderna strada carreggiabile, della larghezza costante
di m. 5,50, quivi compresa la cunetta - ben 2.206 dei Km. 3,350 di tale strada,
i quali ora attendono ancor solamente la bitumatura, che 'vi sarà eseguita
quanto prima. Restano da sistemare poi Km. 1.144.
Inoltre hanno perforato altre due gallerie (oggidì la I e la IV)
rispettivamente di m. 70 e 68 e delle sezioni di m. 6x6 e 5,50x5,50; hanno
provveduto all'allargamento ed al rivestimento d'una delle tre gallerie di
Giacomo Cis, la prima divenuta oggidì l'a' seconda, portandola alle dimensioni,
adottate ormai quale norma, di m. 5.50x5.50.
Tutto questo con una spesa complessiva di L.51.500.000 (valuta d'oggi).
Da tre le gallerie della strada del Ponale, qtiali erano originariamente, sono
aumentate', fino ad oggi, a sei e precisamente:
La prima, di m. 70, sezione 6x6, nuova, al Km. 0~350.
La seconda di m. 31, sezione 5.SOxS.50, vecchia, ma allargata ora e rivestita,
al chilometro 0.730.
La terza di m. 50, sezione SxS, vecchia, al Km. 0.956.
La quarta di m. 68, sezione 5.50x5.50, nuova, al Km. 1.780.
La quinta di m. 05, sezione 5x5, vecchia, al Km. 1.940.
La sesta di m. 160, sezione 4.80x4.50 del 1923, al l<m 2 250.
L'Ufficio Tecnico Provinciale" ha ora in progetto un'altra galleria della
lpnghezza di 120 m. e della sezione normale di m. 5x50x5,50, la settima, al km.
1.140, poco prima della valle del T. Sperone, con lo scopo di eliminare delle
curve e controcurve; inoltre tutti i lavori di scavo di roccia di muratura e
di massicciata ecc., indispensabili per il compimento della razionale
sistemazione dei rimanenti mille metri della strada del Ponale. È pure nelle
intenzioni dell'Ufficio medesimo di ridurre alla sezione normale, ormai
generalmente adottata, di m. 5.50x5.50, la sesta galleria, costruita nel 1923
con scarsi mezzi dalla cessata Sezione LL. PP. del Governatorato della Venezia Tridentina.
Mercè tutti questi altri lavori aggiuntivi, per cui occorrerà un'ulteriore
spesa di poco più di 30 milioni di lire, la strada del Ponale, coraggiosamente
ed arditamente ideata e voluta da Giacomo Cis, vero precursore in tempi e in
condizioni veramente difficili, sarà por tata al livello d'una modernà e sicura
strada carreggiabile, in condizioni dì visibilità molto migliorate e della
larghezza costante di m. 5.50, compresa la cuncttta, larghezza che, date le
enormi difficoltà opposte dà la configurazione della zona pedemontana de I
Monte Oro, va considerata insuperabile
Il piano viabile sarà poi liberato stabilmente dalla polvere molesta e dannosa,
non temuta però in passato dai molti forestieri che anelavano risalire la
strada a piedi, per poter godervi i superbi panorami offerti dall'ampio bacino
del sottostante lago di Garda.
Lo spirito grande di Giacomo Cis gioìrà certamente dell'ampio riconoscimento
della celebrazione centenaria della opera sua, che un patriottico Comitato sta
organizzando; ma soprattutto per il gran bene che la sua mirabile iniziativa ha
già apportato nel corso di un secolo e continuerà ad apportare per l'avvenire
alla natia sua 'Valle, iI Trentino ed all'Italia.
Chi scrive fece del suo nieglio, fin dal 1921, per viemaggiormente valorizzare
la strada di Giacomo Cis, insistendo perchè essa, da Riva al ponte a volta sul
torrente Ponale, ripristinato a cura del Genio Militare subito dòpo la
vittoria, fosse compre£a, quale primo tratto, nella arteria Riva-Limone, ed
aIl'uopo fece approntare apposito progetto per l'intero tronco fino alla
località <Reamaì>, confine con Brescia; progetto del quale si scorge
ancora il tracciato inciso lungo le pareti che, da sotto Pregasina, sovrastano
lo specchio del lago. Tale progetto, regolarmente approvato nel 1922 dal
Ministtro dei LL. PP., offriva l'oclcasione di poter anticipare di vent' anni
circa, con notevole risparm'io rispétto alla traccia b~;sa, la sistemazione
della 'strada del Ponale, con enorme vantaggio pure per la Valle di Ledro, di raggiungere>
a sud del Ponale, un andamento meno accidentato 'e di ridurre considerevolmente
il numero delle gallerie; inoltre di evitare i pericoli derivanti dalla costruzione
d'una nuova arteria sotto quella vecchia. Allora imperava il fascismo e così fu
d'uopo abbandonare ogni lo4a, in cui il 'promotore era, purtroppo, rimasto
isolato, ad onta della rilevante economia prospettata. Superata di molto la
globale spesa di 27 milioni prevista nel 1928 la Direzione dei lavori ottenne
che la Gardesana Occidetitale fosse sostituila - nel novero delle strade
statali> non superabile, allora, nella lunghezzà comples'siva di tutta la
rete nazionale - alla vecchia, unica arteria nazionale Sarche~Caffaro, divenuta
così in gran parte provinciale. Questo perchè la Gardesana Occidentale, in
fregio al lago, fosse compiuta e poi mantenuta e, via via, consolidata a spese
dello Stato.
L'illuminata opera di Giacomo Cis fu a suo ternI o ricordata con riconoscenza
dai Comuni interessati mercè la posa di una lapide di m. 1,38 x 1,98 nella
vecchia terza galleria, oggidì la quinta. La lapide che, dopo la redenzione, fu
rimossa e riposta in opera in posizione più visibile al Km. 0.450, reca la
seguente epigrafe:
QUESTA VIA - GIACOMO CIS DA BEZZECCA - ARDITAMENTE lDEÒ - E DI TANTO CONCETTO -
CHE MOLTI DICEANO DELlRIO I MUNICIPI I - Dl LEDRO DI RIVA E DI STORO - SUASE -
ONDE LA GRANDE OPLRA - A SPESE DEI COMUNI - NEL MDXXXKLI FU COMPIUTA -
COMUNICAZIONE CON BRESCIA E MONUMENTO DELLA COMUNE PERTINENZA ROMANA - ALLA
TRIBÙ FABIA.
LA PROVINCIA DI TRENTO - APRE LA STRADA DI LEDRO - A PIÙ INTENSA VITA
-COMPIENDOSI IL SECOLO DELLA COSTRUZIONE ARDlTA E GENIALE – CHE GIAQOMO CIS
IDEÒ - 1851 - 1951
Per quanto concerne le altre principali vie di comunicazione della parte
cccidentale del Trentino si accenna qui alle strade delle Giudicarie, Trento -
Tiene - Caffaro, ir~ cui, al1a « Ca' Rossa», mette capo la Riva - Storo, e
della Rendena Tione - Pinzolo, che furono costruite a tutte spese dei Comuni
delle due valli, fra il 1850 ed il 1856; la Pinzolo-Madonna di Campiglio
(vecchia) verso il 1870 (per iniziativa di un benemerito Giudicariese, Giambattista
Righi, lo scopritore della Stazione alpina di Madonna di Campiglio, emulo di
Gia5 como Cis, e che la costruì a tutte sue spese); infine la Campiglio-Campo
Carlo Magno-Dimaro in VaI di Sole, verso il 1890, per opera del valente
ingegnere trentino Dott. Vittorio de Dal Lago, della nota patriottica Famiglia
di Cles.
Trento, il 17 maggio 1951
Ing. G. ADAMI
La Cava dei “Gioeli" - anni 30'
La cava dei “Gioeli" anni 30'
Spostandosi verso l’imboccatura del Ponale possono ancora oggi scorgersi i resti di quella che fino a pochi decenni fa era utilizzata come cava. La vegetazione e gli edifici hanno ormai oggi ricoperto il terreno, un tempo luogo di lavoro per le famiglie Baldessari e Rosa. “
A 11 anni ho iniziato a lavorare in cava… la cava si trovava dove oggi ci sono i locali del Canali… quella cava l’abbiamo scavata interamente a mano.. Ogni singolo metro a mano…con le carriole di legno…era dura….buttavamo via tanto materiale di scarto. Preparavamo la ghiaia per la strada, per il Ponale, da Riva fino a Pieve; c’erano due cave: quella verso Polota è stata aperta quando è stata chiusa quella verso Pastei… Il piazzale davanti al museo è tutto materiale della cava…lo scarto che buttavamo fuori…poi ce lo proibirono e dovemmo alzarci a gradoni… nella nostra cava non c’era materiale delle palafitte.
Gli unici ritrovamenti erano solo bombe e pezzi di bomba. Quella di Polota e quella di Pastei erano cave di stesso materiale… Perchè un tempo era tutto attaccato, le due morene erano una sola montagna… dicono che il lago andava verso Storo.Ricordo ora che l’ultimo carico che ho venduto erano 650 lire e al metro cubo. In cava la ghiaia valeva 5/2,5 lire al metro cubo...i “carraor” (el “Cerillo”) guadagnavano poco in tutto e il badile (prendevamo sempre il più grande)... ci durava una settimana! Bisognava lavorare parecchio...le mani erano tutto un callo, e sulle ginocchia “braghe” sempre rotte; un paio di pantaloni durava due giorni… “’ ’Na volta l’era laorar”... (dalla testimonianza di Attilio e Silvio Rosa)
da "Le palafitte nel cassetto"

I ricoveri delle barche e il Giorgera
un pò di storia:
I ricoveri delle barche e il Giorgera
Il “Giorgera” o “Giorgerù”, al secolo Ettore Dassatti, non solo aveva
l’incarico di “guardiano del cimitero” ma era impegnato nella zona delle
palafitte come custode delle barche. “
C’era un imbarcadero con alcune barche che si potevano affittare. E quando
avevamo le galline da “guernar” a Pur, invece che andare in bicicletta,andavo
dal Giorgera e lo pagavo 10 – 20 Lire. Era proprietario delle barche che
talvolta utilizzavo per andare a fare dei giri intorno al lago (dalla
testimonianza di Antonio Zecchini)
”.Ben prima “del Giorgera”, però, la zona contava la presenza di alcuni
baracchini, piccoli ricoveri, per le barche di quei pescatori che solcavano
delle acque del lago per la pesca.“
Nella parte a sinistra, all’imboccatura del Ponale, quella verso Pastèi, avevo
un piccolo“baitel”, un baracchino in cui andavo a “parcheggiare” la mia barca.
Con questa barca andavo a pescare e a fare giri sul lago e molte volte mi
capitava di entrare anche nella zona delle palafitte.Ce n’erano diverse di
quelle baracche in quel punto; la mia era piccola, giusto per una barca.Partivo
da lì e facevo, passando da Pur, Pieve e Mezzolago, il giro del lago. Andavo a
pescare le“scardole”, perchè “allora g’hera le scardole”, le “pesate”; c’erano
“cavazzini, tinche, bose, trote”: si poteva andare da tutte le parti. Oggi ti
arresterebbero! (dalla testimonianza di Italo Casari)”
Giuseppe Balata
da "Vita trentina"
Giuseppe Balata, pittore sconosciuto
Nella stupenda chiesa di Villa Lagarina si può ammirare un dipinto datato 1923
raffigurante l’Immacolata, opera di Giuseppe Balata, “pittore di Tiarno in Val
di Ledro”. Un nome che risulta pressoché sconosciuto in val di Ledro, sul quale
esiste però una pubblicazione curata da Giovanna Nicoletti nel 2007 per la
Galleria Civica di Arco. Secondo l'archivio parrocchiale, Giuseppe nasce a
Tiarno di Sopra (Nicolò Rasmo nel “Dizionario Bibliografico” parla erroneamente
di Tiarno di Sotto) il 31 marzo 1879; fu battezzato il 3 aprile 1879 dal curato
p. Angelini. Il papà è Alfonso, guardia di finanza e la mamma è Teresa
Peterlini di Terragnolo. Poco tempo dopo la nascita la famiglia di Giuseppe si
sposta a Rovereto e si arricchisce di altre due figlie, Eletta e Carolina.
Nella stupenda chiesa di Villa Lagarina si può ammirare un dipinto datato 1923
raffigurante l’Immacolata, opera di Giuseppe Balata, “pittore di Tiarno in Val
di Ledro”. Un nome che risulta pressoché sconosciuto in val di Ledro, sul quale
esiste però una pubblicazione curata da Giovanna Nicoletti, nel 2007, per la
Galleria Civica di Arco.
Secondo l'archivio parrocchiale, Giuseppe nasce a Tiarno di Sopra (Nicolò Rasmo
nel “Dizionario Bibliografico” parla erroneamente di Tiarno di Sotto) il 31
marzo 1879; fu battezzato il 3 aprile 1879 dal curato p. Angelini. Il papà è
Alfonso, guardia di finanza e la mamma è Teresa Peterlini di Terragnolo. Poco
tempo dopo la nascita la famiglia di Giuseppe si sposta a Rovereto e si
arricchisce di altre due figlie, Eletta e Carolina.
Fra i vari quadri di paesaggi ho cercato se c’erano scorci della Valle di
Ledro. Una delusione: non ho trovato nulla! Mi pare di dover concludere che il
nostro pittore non aveva un particolare feeling con il suo paese di nascita e
la Valle di Ledro. Forse è anche per questo che la Valle di Ledro lo ha
dimenticato. Ciò nonostante mi auguro che la Valle di Ledro sappia ritessere
quel rapporto: se un figlio ha dimenticato la sua madre terra, la madre terra
non può dimenticare un suo figlio, anzi ha un motivo in più per ricordarlo.
Compiuta la sua prima formazione a Rovereto, Balata ancora giovanissimo agli
inizi del 900 frequenta la scuola del nudo a Monaco di Baviera e l’Accademia
delle Belle Arti di Brera a Milano. Suo collega di studi è Luigi Cavenaghi.
Balata evidenzia subito notevoli capacità nel campo del restauro avendo anche
la fortuna di potersi avvalere di un grande maestro, Antonio Mayer.
“Viene assunto dalla Sovrintendenza delle Belle Arti di Trento e restaura le
opere di Gaspare Antonio Baroni di Cavalcabò a Rovereto nelle chiese di S.
Marco e di S. Maria; successivamente riporta al vecchio splendore affreschi
seicenteschi a Novacella nella chiesa abbaziale della Madonna e opera alla
conservazione degli affreschi in Castel Tirolo e nei castelli Bragher e Valer
in Val di Non. Partecipa dal 1920 alle esposizioni regionali fino al 1959. Tra
le opere di carattere religioso si ricordano la pala per la Beata Vergine
Immacolata per la chiesa arcipretale a Villa Lagarina ; la Vergine col Bambino
per la cappella di S. Maria Ausiliatrice di Mori (1929); un Sacro Cuore e una
Santa Maria per la chiesa della SS. Trinità di Trambileno (1936). Nel 1965
muore nella sua casa di Via S. Maria a Rovereto”. Giuseppe Balata era un
artista schivo e riservato che non aveva alcuna pretesa di lasciare
testimonianze particolari del suo lavoro. L’amico Diego Costa, pochi anni dopo
la sua morte, lo volle ricordare così: “Non fu ribelle in arte ma fu ribelle
nella vita che la volle vivere come solo lui la desiderava, anche se povera”.
Giovanna Nicoletti che ne traccia il profilo artistico osserva che che “negli
anni quaranta i paesaggi assumono un’altra connotazione, “diventano luminosi e
sembrano essere sostenuti dal colore. Il paesaggio è il luogo dove la natura si
esprime attraverso la voce silenziosa della luce e dove l’osservazione coglie
un particolare momento di fermo immagine”.
La personalità del nostro ledrense come possiamo sintetizzarla? “Pittore umile,
modesto, riservato, solitario, dimenticato e travisato dalla critica del tempo”
(Sara Bassetti, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trento, Corso di
Laurea in Scienze dei Beni Culturali, 2005 – 2006). Mai una mostra personale in
vita, solo una postuma nel 1994 curata dallo storico dell’arte Maurizio Scudiero,
tenutasi nella chiesa del Redentore di Rovereto. “Giuseppe Balata – ebbe a dire
il critico - è una di quelle tante figure artistiche locali che certamente non
fanno la storia della pittura di questo secolo ma che, con altrettanta
certezza, vanno studiati e recuperati in quanto sono proprio loro (e non gli
artisti di avanguardia che invece miravano lontano) i veri testimoni della
cultura locale del tempo”. (M. Scudiero, Giuseppe Balata, Il Pittore umile, in
Giuseppe Balata, Catalogo della Mostra, Rovereto 1994, pag. 3).
Anche Gabriella Belli, direttrice emerita del Mart di Rovereto, fa notare come
la critica del tempo abbia semplicemente e ingiustamente dimenticato questo
artista: una distrazione della critica incomprensibile!
Mi pare di poter dire che in Balata ritroviamo tutta l’umiltà e la laboriosità
(quante pitture e restauri durante la sua vita, fino alla fine!) del suo paese
d’origine. Se vogliamo vedere delle opere del nostro pittore ledrense dove le
troviamo? A Rovereto, al Museo Civico, al Museo Storico Italiano della Guerra,
al Mart e in case private di Rovereto e dintorni. Forse un esemplare ci
vorrebbe anche a Tiarno di Sopra! Passo la palla al Sindaco di Ledro.
Con Giuseppe Balata vediamo attualizzarsi l’antico motto: un profeta non è riconosciuto
in patria. Che lo ha completamente e ingiustamente dimenticato. E forse è
arrivato il momento di riparare questo oblio che non ci fa certo onore.
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