storia "Il forte d'Ampola"
Cenni storici:
Il compito del forte era quello di sbarrare l’altra strada verso Trento in un
punto estremamente favorevole della gola. Era detto anche forte Glisenti, dal
cognome della famiglia proprietaria di fucine situate in zona. Ottone Brentari
verso il 1890 scrisse: "Ora non esiste quasi più nulla. Ove sorgeva venne
fabbricata nel 1881 una casa". Nel 1909, Cesare Battisti, scrivendo la sua
Guida delle Giudicarie annota: "Ora non si vedono che pochi sassi".
Le macerie sono oggi in gran parte coperte da arbusti e zolle, qualcuno pensa
erroneamente che i resti del forte siano i ruderi nei pressi del ponte o
addirittura la casa eretta nel 1881 e restaurata qualche anno fa.
I garibaldini arrivarono per la prima volta al confine del Caffaro il 24 giugno
ed entrarono in Storo due giorni dopo. Garibaldi pose il quartier generale in
casa Cortella il 13 luglio. Da qui egli diresse personalmente le operazioni di
accerchiamento e di attacco del Forte d’Ampola.
Riviviamo la vicenda della presa della fortezza seguendo due filoni di
testimonianze: quello delle memorie popolari di Francesco Cortella, Giovanni
Rinaldi e Bortolo Scalvini e quello delle cronache dei giornali dell’epoca. Il
quadro sarà completato con qualche passo tratto dalla letteratura garibaldina.
Le cronache popolari
Il cannoneggiamento della fortezza fu deciso da Garibaldi la mattina del 15
luglio, dopo che il Generale ebbe ispezionato l’imboccatura della Val d’Ampola
con Ergisto Bezzi. Il bombardamento iniziò la mattina del 17.
Il maggiore Dogliotti, al quale fu assegnato il cannoneggiamento, mise in
azione 12 pezzi, 6 da montagna e 6 da campagna. Alcuni di essi furono
trascinati sulle montagne, sovrastanti la gola dell’Ampola. Di notevole
rilevanza strategica si dimostrò il Monte Croce (Capetél da Crus, a quota 811
m.) perché al di fuori del tiro nemico: le bocche del forte erano basse e da
esse si poteva tirare solo nella valle.
L’artiglieria italiana distrusse ben presto tutto il tetto della fortezza, ma
un colpo austriaco uccise il tenente Alasia e ferì 15 garibaldini. Scrisse
Francesco Cortella: "Il 17 luglio – martedì (…) Ore 2 pomeridiane un
Tenente d’artiglieria di anni 32 piemontese nell’atto che approntava un cannone
sullo stradone al buco di Lorina, venne preso da una palla di cannone austriaco
nello stomaco, che lo divise in due pezzi, restando ferito un sergente
cannoniere più 15 garibaldini".
Nel pomeriggio gli austriaci esposero bandiera bianca e chiesero di cedere la
fortezza partendo con gli onori militari e conducendo con sé tutto ciò che si
trovava nel forte. Garibaldi non accettò e fece continuare il cannoneggiamento.
Il cannone di Monte Croce rimbombò tutta la notte. Nel pomeriggio del giorno 18
gli austriaci esposero nuovamente bandiera bianca e avanzarono le stesse
richieste del giorno precedente. Garibaldi rifiutò ancora, volendo anche loro
prigionieri. Sono interessanti al riguardo le osservazioni di Riccardo Gasperi:
"Di queste ripetute richieste di resa non trovo menzione in nessuna delle
fonti che ho sott’occhio; ma d’altra parte, il Cortella – quantunque curioso,
come quasi tutti i diaristi, di cose secondarie – dimostra d’essere persona
onesta, e non distolta, dalla sua simpatia verso Garibaldi e i volontari, dal
tacere ciò che trova loro a discutibile vanto. Datagli, pertanto, fede e
considerata l’estrema probabilità che il comandante Preu abbia chiesto la resa,
(…) sembra a me che il rifiuto di Garibaldi sia stato un atto di orgoglio,
suggeritogli probabilmente dai politici che gli stavano attorno; un atto che
contrasta con la sua umanità e sta per riuscirgli molto pernicioso".
Alle 3 pomeridiane del 19 gli austriaci si arresero e si diedero prigionieri:
" Il generale Haud e il colonnello La Porta con tutto lo Stato Maggiore e
parte del 7° loro Reggimento con bandiere bianche incise sopra n. 7 si portano
a ricevere il Forte e i prigionieri ritornando alle 6 e mezzo con 160
prigionieri, parte Cacciatori, parte Boemi e parte volontari Scrissari, quali
vennero condotti nella Chiesa di S. Andrea ed i 4 prigionieri cioè primo
Tenente Conte Crua e il Tenente Prain che conosco con altri 2 tenenti vennero
collocati in mia casa raccomandandomi il Generale Haud di dare loro una buona
stanza con buoni materassi come lui; a S. Andrea furono trattati con molto
vitto i prigionieri ed i 4 ufficiali furono invitati al pranzo con il generale
Haud e Colonnello La Porta dove stettero fino alle ore 12 di sera. Questi 4
ufficiali tenevano la spada. Nel Forte d’Ampola furono ritrovati 5 feriti e un
morto, per cui di notte furono i feriti qui trasportati con il loro medico che
li accompagnò fino a Storo, poscia il medico austriaco venne reso al suo
corpo".
Il giorno successivo i prigionieri partirono per Brescia. Giovanni Rinaldi li
vide passare per Darzo: "La mattina dopo colazione gli abbiamo veduti a
passare per Darzo, avanti in timonella il Capitano con due Ufficiali indi i
suoi duecento Cacciatori con dieci cannonieri tutti involti nei suoi mantelli,
e melanconici come fossero in mano a barbari, ma invece erano ben trattati e
chi gli esibiva zigari chi da bere, insomma furono fortunati: cherano esenti di
prestare la pelle: e così circondati da Garibaldini ove furono condotti alla
Rocca d’Anfo".
Il caffarese Bortolo Scalvini così racconta l’accoglienza dei prigionieri:
"Garibaldi ordinò ai suoi soldati di menarli in Storo alla sua presenza, e
così fu eseguito, senza nessun oltraggio furono presentati circa 150
prigionieri alla sua presenza il quale gli fece un bellissimo accoglimento
facendogli dare da mangiare e da bere a suo conto anche gli ufficiali furono
trattati magnificamente. Finalmente Garibaldi ordinò che si menassero alla sua
presenza tutti questi prigionieri nella piazza di Storo ove c’era schierato un
corpo di Garibaldini ad aspettarli, e Garibaldi alla presenza di tutti, comandò
a quelli che dovevano scortarli a Brescia di non fargli nessun scherzo
sconvenevole e di considerarli come fratelli e di soccorrerli lungo il viaggio
e guai a quelli che li avessero maltrattati che gli sarebbe dato un severissimo
castigo; così partirono per la volta di Brescia il quale anche i cittadini li
accolsero con grande giubilo".
L’operazione "Forte d’Ampola" costò da parte garibaldina, 2 morti e
31 feriti; 1 morto, 25 feriti e 178 prigionieri da parte austriaca. Un
contemporaneo cronista di Arco annota che le "orride gole" furono da
Garibaldi "sforzate con miseranda perdita dei suoi". La resa rispose
tuttavia a un saggio calcolo del comando austriaco il quale "credè meglio
darsi prigioniero che restar vittima senza alcun vantaggio".
Tanti prigionieri le camice rosse non fecero neppure nelle battagli di Monte
Suello, Condino e Cimego messe insieme. Tuttavia l’esperienza del Forte
d’Ampola – un solo forte munito di due soli cannoni, la cui"resa"
costò cinque giorni di accerchiamento con due giorni e mezzo di fuoco – non
poteva tingere di rosa la prospettiva di vincere la resistenza dei tre forti di
Lardaro, forniti, nell’insieme di venti bocche da fuoco.
Nell’accerchiamento del Forte furono impiegati circa 2.300 uomini, senza
contare le compagnie che il 18 luglio, provenendo dalla Val di Vestino, scesero
nella Valle di Ledro alle spalle dei difensori.
Nel Forte agli 11 artiglieri e ai 33 uomini di presidio, comandati dal tenente
Preu, si era aggiunta il 15 luglio una compagnia di cacciatori, costrettivi
dalle operazioni di accerchiamento dei garibaldini, portando così a circa 200
il numero dei difensori.
A determinare la resa di Preu fu soprattutto quello che la letteratura
garibaldina definì "lo stratagemma del Blenio". Ce lo narra Giuseppe
Cesare Abba: "Il fortino d’Ampola era investito, bombardato, ma non
cedeva: Si sapeva che il Generale l’avrebbe voluto per avere il passo libero il
20. Il Blenio si stizzì. Perché il fortino non doveva obbedire? Di roccia in
roccia e solo, discese di là dal forte, s’appiattò sulla strada a venti passi
da quello e aspettò. Si vedeva dalle alture una chiazza rossa laggiù, che non
si capiva cosa fosse, ed era lui. Uscivano, quei del forte di quando in quando
due tre, forse a respirare, forse a bere l’acqua della cascatella che si vedeva
laggiù come la coda di un cavallo bianco. Un tratto che ne uscì un solo, quella
chiazza rossa balzò sopra lui che si fermò; gli si avvicinò rapida, gli si mise
a lato, entrarono insieme nel forte; e pochi minuti di poi sventolò sovr’esso
la bandiera bianca. Un grido di gioia la salutò da tutta la cerchia dei monti;
tacquero i cannoni di Monte Croce, corsero presto i parlamentari, e giù giù
file di nostri da ogni sentiero al fortino, dove si seppe che il Blenio aveva
tanto osato da parere un folle al Comandante: il quale credendo di avere chi sa
qual nerbo di nemici anche alle spalle, e trovandosi nelle casematte dei morti
e dei feriti parecchi, per le granate che vi erano entrate, alla intimidazione
del Blenio, apparsogli improvviso a quel modo e in quel luogo, s’era
arreso".
Le cronache dei giornali
La vicenda del Forte d’Ampola del luglio del ’66 trova molte e diffuse
ripercussioni sulla stampa quotidiana dell’epoca. Gli articoli non recano mai
la firma dell’autore e sono pubblicati con ritardo rispetto al momento
temporale in cui si verificò il fatto. In essi trovano risalto, per il nostro
caso, soprattutto due aspetti: la descrizione della resa e le facili previsioni
di vittoria che la caduta del Forte ha dischiuso ai garibaldini. Mi limito a
riportare per intero due cronache che sono, in questo senso, assai esemplari.
Sul numero di lunedì 23 luglio la Gazzetta del Popolo riportava il seguente articolo
scritto a Storo il 19 luglio:
"Storo (Tirolo), 19 luglio – Ci scrivono:
Non m’ingannava annunziandovi imminente la resa del forte d’Ampola. Questa
mattina dopo un terribile cannoneggiamento il comandante del forte offriva di
arrendersi cogli onori di guerra. Garibaldi rifiutò e il fuoco continuò più
terribile ancora sotto la direzione dell’egregio maggiore Dogliotti, il quale
spiegò in questa impresa vera capacità.
Alle ore due il comandante di Ampola modificò la sua proposta. Si sarebbe reso
depositando le armi, ma a patto di aver libero il passo. Garibaldi rifiutò
ancora. (Li voglio a discrezione) disse il Generale, e così fu. Si scambiarono
ancora alcuni colpi, e i nostri erano tanto aggiustati che la polveriera del
forte minacciando scoppiare, fu necessità aprire le porte incondizionatamente.
Infatti alle 3 pomeridiane un parlamentario usciva da Ampola, e pochi istanti
dopo un battaglione di garibaldini ne pigliava possesso. Vi trovammo 165
austriaci così detti ma quasi tutti nativi del Tirolo italiano. Erano
abbondantemente forniti di viveri e di munizioni e Ampola per la sua
costruzione (una specie di mamelon) e per la sua posizione topografica poteva
ancora lungamente resistere.
Sembra che la tema che il nostro fuoco potesse incendiare la polveriera e
ancora più la tema di un assalto alla baionetta che i garibaldini invocavano da
due giorni ad alte grida abbia deciso i soldati a far pressione sugli ufficiali
e quindi ad arrendersi.
Uscirono in mezzo ai nostri e mostravansi lieti: strinsero la mano ai
garibaldini e alcuni gridavano viva l’Italia. Il comandante ci chiese con
premura come volgessero le sorti delle armi austriache in Germania, e appena
conobbe la battaglia di Sadowa si mise a piangere come un fanciullo.-So che un
ufficiale trentino, certo Colzi, era dei più ostinati a rifiutare la resa. I
prigionieri giunsero in Storo. Furono ricevuti degnamente in mezzo al silenzio
di una immensità di garibaldini. Alloggiarono nella chiesa di Sant’Andrea, e
domani volgeranno verso Brescia.
Ecco finalmente schiusa la strada. Ecco finalmente cannoni austriaci caduti in
potere degli italiani; ecco una bandiera giallo-nera strappata all’aborrito
nemico. Questa bandiera fu inviata subito a Firenze accompagnata da un
ufficiale e in tutta solennità. Queste imprese si debbono ancora una volta ai
garibaldini.
Domani o dopo proseguiremo verso Riva. Ormai la strada è libera fino a Lardaro
ed i nostri reggimenti avanzano occupando tutte le alture.
Oggi fu dunque giornata di festa e di festa italiana, suonano le trombe, evviva
d’ogni parte. Ed io finisco pure col grido Viva l’Italia" .
Il quotidiano Il Sole pubblica il 23 luglio due articoli sui fatti dell’Ampola.
Sono ambedue datati 20 luglio e scritti a Storo. Il primo racconta concisamente
l’episodio della resa descrivendo la gioia che si diffuse subito in paese.
Il secondo è più lungo e minuzioso. Si sofferma sulle operazioni di
accerchiamento, sulla morte del tenente Alasia al Bus de Lorina e sul
comportamento degli austriaci all’atto della resa:
"Storo, 20 luglio
Mi trovo a Storo da questa mattina ed ho la fortuna di assistere alla resa del
forte d’Ampola che vi descrivo…
Avanti ieri, alli 21, 2 di mattina, l’artiglieria nostra, la quale aveva posto
sopra le alture attorno al forte, quasi siccome miracolo, 6 pezzi da
artiglieria, stati colà portati a spalla d’uomini, valentemente diretti e
comandati dal cav. Maggiore Dogliotti, incominciò a mitragliare il forte con
quella precisione che noi tutti conosciamo; ogni bomba faceva una breccia ed in
meno di 35 ore le mura solidissime dell’Ampola erano quasi diroccate. Intanto
il corpo dei garibaldini s’avanzava da tutti i punti circostanti ed aveva
attorniato il forte su tutte le alture in guisa che non rimaneva tanto per
parte dei nostri come per gli austriaci nessuna via di salvamento: o vincere o
morire: non c’era che cedere o rimanere sul campo.
Avvenne in questo spazio di tempo il doloroso fatto che tolse la vita ad uno
dei nostri valorosi soldati, tenente d’artiglieria signor Alasia, ed al
caporale suo dipendente. Questo bravo ufficiale disse, scherzando coi suoi
vicini: scommetto un pacco di sigari che al terzo sparo io stendo l’asta della
bandiera austriaca sul forte – così fece – punta: la prima palla passa sopra la
cima, punta ancora, e l’asta è spaccata in due, la bandiera cade; rimaneva un
tronco d’asta alto un metro. Oh! Voglio atterrare anche quello, esclamò il
prode ufficiale, punta la terza volta ed il tronco scompare; ma in quel fatale
istante arriva una mitragliata sul fianco sinistro del pezzo, che coglie il
tenente Alasia all’anca sinistra ed al fianco, ed un frantume spicca il capo al
caporale; ambedue rimasero cadaveri.
Ieri mattina per tempo gli austriaci si avvedono che il forte non può più
resistere, giacchè da qualunque parte scorgono una compagnia di garibaldini a
150 m. di distanza alle spalle, pronti a profittare della breccia ed invaderli
alla baionetta. Allora succede uno scompiglio assoluto, immediatamente decidono
di arrendersi ed innalzano la bandiera bianca. Questa però essendo elevata in
sito coperto da un muro dal lato ove il bravo maggiore d’artiglieria dirigeva
la batteria, non serve a farla resistere del cannoneggiare, del che,
avvedutisi, deposero le armi, e saliti quanti rimanevano sui rimanenti muri,
con alla testa due tenenti, di cui uno portante la bandiera bianca, arrivarono
farsi intendere e l’ultima palla, un momento prima spiccata, colpì un soldato
fra essi e fu l’ultima vittima che segnò col suo sangue questa strenua difesa.
La forza del forte si riduceva a 200 uomini circa con 4 ufficiali ed un
sergente d’artiglieria, cannoni e munizioni da guerra per 30 giorni.
Essi si resero a discrezione ed in questo momento i soldato sono qui
ricoverati, mentre i 4 ufficiali dopo d’esser stati ricevuti dal generale
Garibaldi, con quella generosa cortesia che lo distingue in guerra, furono
inviati a Brescia in particolar condotta".
L’euforia delle camicie rosse seguita alla presa del Forte d’Ampola è
efficacemente descritta dal garibaldino Raffaele Villari addetto al quartier generale
di Garibaldi a Storo:
"Dopo un lungo cannoneggiare, il giorno 19, il forte si arrende senza
condizioni, perché le nostre granate hanno perito sei artiglieri. Il settimo
reggimento l’occupa immediatamente. I volontari che in questo blocco hanno dovuto
incontrare le supreme necessità della vita, intrecciano una danza sui rottami
della fortezza al festivo suono della fanfara. Essi però non s’inebriano della
vittoria, come non si prostrano nella sventura.
Abbiamo duecento prigionieri; la strada rotabile è nostra e possiamo
trasportare quanti pezzi grossi vogliamo…
Io mi trovo assiso accanto al Comandante della Fortezza, il quale assieme ad
altri tre ufficiali austriaci pranzeranno alla mia tavola. Sono fieri e
marziali, benché vinti, pure nei loro occhi si legge la minaccia. I loro pugni
posano sull’else delle sciabole che hanno perduto il taglio. Le loro uniformi a
colore di latte sono pulitissime e le loro teste abbastanza profumate, come se
venissero da una festa da ballo. La qual cosa mi ha lasciato una viva
impressione!".
L’entusiasmo e l’euforia durarono ben poco: Furono prima smorzati dalle gravi
perdite della battaglia di Bezzecca del 21 luglio, dalla quale i garibaldini
usciranno con 121 morti e dispersi, 451 feriti e 1.070 prigionieri. Le perdite
austriache furono solo un ottavo. Mutarono poi in arrabbiata delusione quando -
il 9 agosto – Garibaldi ricevette l’ordine di sgomberare il Tirolo.
Ridiscendendo l’Ampola che avevano ritenuto essere la chiave del Tirolo,
superata la quale tutto sarebbe stato agevole, sostano a dissetarsi alla
cascata del Forte e la guerra del ’66 appare loro come una grande, triste ed
inutile commedia.
Notizie sull'opera:
La Relazione Ufficiale Italiana della guerra del 1866 lo descrive così: il
forte è fatto di "un blocco stradale di pietra, a prova di bomba, con due
cannoniere, e d’una caserma difensiva di eguale fattura, i quali due edifici
sono separati da un cortile murato, con due porte, attraverso le quali passa la
strada – aperta nel 1846 – che sale da Storo verso la Valle di Ledro. Il blocco
è armato di due obici lisci di 130 mm". La descrizione è confermata dai
dipinti garibaldini e da una rara fotografia scattata prima della demolizione
avvenuta pochi anni dopo la guerra del ’66.
Lungo la strada delle Giudicarie in località omonima ma, come già detto, non
esistono resti del forte
*Il materiale è tratto dal sito del comune di Storo